European Genre Forum: il cinema di genere in Europa

Il concetto di “farcela”, nei lavori creativi, è estremamente… diciamo arbitrario. Terminare la stesura di una sceneggiatura non significa che quel testo diventerà un film. Né che il lavoro sia completo. Trovare il budget per realizzare un film non significa che il film si produrrà. Trovarsi sul set a girare non significa che il film riuscirà. Vincere un premio per il film, che alla fine è riuscito, non significa che ti riuscirà anche quello successivo. O che vincerai dei premi. O che ci arriverai viva. Si può quindi correre il concreto rischio di non riconoscere i traguardi anche quando li si raggiunge, di farseli passare davanti come semplici “tappe” e senza celebrarli.

Vorrei evitare quindi di dimenticarmi di celebrare il fatto che il nostro film “La lunga discesa” (qui ho raccontato del sopralluogo a Cave del Predil, dove è ambientato) è stato selezionato nel 2023 all’European Genre Forum.

Facciamo però un passo indietro, e cerco di spiegare che senso ha fare film in Europa. Perché fare film non è la stessa cosa e non significa la stessa cosa in tutto il mondo. Spoilero subito: In Europa fare film ha una profonda valenza sia culturale che di coesione sovra-nazionale. I programmi europei, i fondi europei, i workshop, persino i festival hanno come “agenda segreta” quella di cercare di rendere più coesi i paesi del nostro continente, facilitando lo scambio tra persone creative, persone che fanno business, persone che pensano, preparano e vendono un prodotto culturale. Conoscere serbi, croati, sloveni, estoni, lituani, oltre ai “soliti” francesi, spagnoli, tedeschi e così via, e lavorare insieme, trovare fondi e metterli a frutto su progetti di scrittura di sviluppo congiunti è infatti il modo migliore per rafforzare i legami invisibili tra paesi più o meno confinanti, ma comunque tutti appartenenti all’ecosistema europeo in qualche modo.

È così che nascono le co-produzioni, e cioè che più paesi collaborano alla realizzazione di un unico film, portando ognuno una parte del budget e una parte dei talenti creativi o tecnici per l’impresa. È un processo lungo e tempestoso, bisogna mediare le esigenze creative e quelle produttive (cioè bisogna mediare la creatività pura con le necessità che portano al reperimento dei fondi) ma crea, a cascata, un quantitativo di effetti positivi incredibili. Io, ad esempio, lavorando su “La lunga discesa” sono diventata amica di un produttore sloveno e di un produttore croato. Ho imparato a conoscere la loro cultura, i loro paesi, il loro cibo (la lingua no, è troppo difficile). Non solo: spero di lavorarci ancora, di costruire altri progetti, di far parlare di nuovo le nostre culture. Mi interessa vedere come una storia viene influenzata e contaminata, mi interessa capire quali sono le prospettive di un altro produttore sulla stessa storia. La co-produzione non porta solo soldi (anche se fanno comodo e servono), ma porta una commistione culturale che magari non è prevista, all’inizio, ma che arriva a scombinare – in modo positivo – la narrazione, i personaggi, le location, e tutto quello che diventerà infine il film.

Non avevamo mai seguito un programma così, quindi fino allo scorso giugno era tutto un po’ vago e un po’ teorico e non sapevamo bene cosa aspettarci. Quello che è successo è stato un piccolo viaggio dentro il cinema di genere indipendente, e durante questo viaggio abbiamo potuto migliorare il nostro progetto, conoscere quelli di colleghi e colleghe, imparare un bel po’ di cose e stabilire molte connessioni. Non dico “contatti”, perché i contatti sono dei biglietti da visita. No, le connessioni sono con le persone e portano a voler collaborare al di là del progetto specifico.

L’European Genre Forum è stata un’opportunità che ci hanno portato il nostro produttore sloveno Boštjan Virc e il nostro produttore croato Siniša Juričić, e l’hanno condivisa con Giacomo (il regista del film) e con me. Così quello che è successo è che Giacomo e il suo film hanno potuto ricevere un potenziamento da feedback di persone in gamba, è migliorato sotto diversi punti di vista artisticamente, e nel mentre sia io che Giacomo abbiamo stretto rapporti con persone che altrimenti non avremmo mai conosciuto, e che pure erano molto sulla nostra lunghezza d’onda. Ed è così che ci ritroviamo a collaborare allo sviluppo (peraltro, finanziato da MEDIA di Creative Europe che abbiamo ottenuto nel 2024) con Tonia Mishali sulla sua prima regia, un folk horror dal titolo “Maya”. È così che stiamo capendo come supportare con i VFX lungometraggi horror/sci-fi/drammatici come “The Girl With The Green Eyes” di Yfke Van Berckelaer o “Light Years” di Vegar Dahle. Sono film che, quando verranno realizzati, così come “La lunga discesa”, diranno qualcosa. Sono film indipendenti, ma sono pensati con due anime diverse: da una parte, quella “arthouse” della libertà di espressione, in cui gli autori possono raccontare quello che sentono senza troppi compromessi commerciali. Dall’altra, però, sono film con un pubblico potenziale molto vasto, perché sono costruiti anche con una sensibilità pop. È questo il meraviglioso regalo del genere, nel cinema, che permette di ampliare a dismisura un’audience che per i film drammatici sarebbe ben più limitata.

Penso che abbiamo davvero bisogno di credere in qualcosa, sotto forme diverse. Chi, come me, suo malgrado, non riesce a credere in Dio, crede nei sogni. Sogni che però si costruiscono un mattone alla volta, con l’esperienza, con le idee e – soprattutto – con le persone. Ed è questo il regalo più grande che abbiamo ricevuto dall’EGF, le persone. Con cui speriamo di lavorare a lungo.