Parole di carta

Scrivo ininterrottamente su piccoli quaderni con una penna nera. Le pagine si riempiono di pensieri e suggestioni che sono solo mie e che mie devono rimanere.
Penso che la vita non finisce, a volte, nonostante tutto, anzi, a volte ricomincia.
Penso a scrivere, che è la cosa che mi rende viva, e mi rendo conto che ovunque lo faccia mi fa stare meglio.
Penso a racconti di Torino, penso a racconti della mia famiglia e altri animali, penso a storie per cambiare le mie radici, e sto bene.
La notte sogno, ma spesso non ricordo. L’insonnia sta lasciando spazio alla tranquilla contemplazione degli stati d’animo e non è poi così male.
Vivo con la costante paura che tutto crolli ancora, che l’equilibrio che credo di trovare ogni giorno, ogni ora, svanisca in un istante. Che poi è così che succede, uno si sveglia la mattina e il mondo fuori è cambiato, e il mondo dentro è cambiato, e il cambiamento è una delle cose più terrificanti, più sconvolgenti e insieme più vitali del mondo.

Ora leggo di nuovo, ho un fumetto e voglio andare al cinema. Fumo più di quanto non vorrei, ma assaporo tutto un po’ di più.
Ho voglia di prati sotto i piedi, ho voglia di luna sulla pelle, di musiche del passato, di odori di terra, ho voglia, come in quel film, che l’azzurro del cielo torni ad essere azzurro, che gli alberi siano ancora verdi. Ho voglia di cercare i colori dentro la nostalgia che ho di me…

Per quanto tempo le pagine sono rimaste bianche? Per quanti anni la mia anima è stata un libro che aspettava di essere scritto, un racconto da raccontare, una storia da esplorare. E adesso sta ricominciando, tutto, lentamente, con dolore, con piacere.
Sentire, è questo che conta. E non sono più like a patient etherized upon a table e mi sono accorta che dipendeva tutto da me.
Ora il tempo passerà  gocciolando come olio sulle mani, ora i giorni sorgeranno come perle dal mare, ma non voglio più morire, non voglio più aspettare.
E sentire è l’unica cosa che conta, adesso.

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