I'm Still Here

“You haven’t looked at me that way in years
You dreamed me up and left me here
How long was I dreaming for
What was it you wanted me for

You haven’t looked at me that way in years
Your watch has stopped and the pond is clear
Someone turn the lights back off
I’ll love you til all time is gone

You haven’t looked at me that way in years
But I’m still here.”

Mi sento come quei libri che non iniziano mai. Quelli che hanno delle ottime premesse, che potrebbero raccontare la verità  sulla vita, sconvolgere esistenze, e invece passano il tempo a presentare il contesto, a introdurre personaggi e poi finiscono, così, senza che sia successo niente, e lasciano quel misto di rabbia e insoddisfazione che te li fa scagliare attraverso la stanza, odiandoli.
Io sono uno di quei libri, proprio così. Ottime premesse, ma non porto da nessuna parte. Mi hanno scritto male. Mia mamma si è convinta che sono una bambina indaco, qualche tempo fa, perché sono strana, perché piango e rido troppo spesso, perché ho l’empatia, perché la notte, da piccola, anche da piccola, sentivo tutta l’angoscia del mondo e facevo sogni strani e mi svegliavo e girovagavo incosciente per la casa, e parlavo e raccontavo cose e non si capiva perché o come farmi smettere.
La verità  è che non avevo niente da dire. Solo, funziono male. Sono difettosa. E allora è come quando hai un elettrodomestico difettoso che fa qualcosa che non ti aspetti, qualcosa di insolito: ti sembra magico. Ti sembra straordinario e speciale, perché è diverso dagli altri. A lungo andare, però, ti accorgi che, in fondo, non è poi così speciale. E’ solo rotto. Non serve nemmeno al suo scopo. E quello che fa non ti sorprende nemmeno più così tanto.

Io mi sto accorgendo di essere un elettrodomestico rotto, un libro che non comincia, un film che annoia, una storia che non regge.
E allora ammorbo Alice con le mie riflessioni da “sono al punto di partenza”, “Io sono ancora qui, tipo Penelope che vede il suo uomo partire per cambiare le sorti della storia umana”, “E non combino un cazzo. Alla fine c’hanno ragione: le donne non combinano un cazzo”.
Ogni volta cerco di imparare a capire cosa, esattamente, mi fa male, ogni volta che sento quel male che conosco bene, qui, proprio qui, in mezzo al petto e dietro agli occhi e nelle mani. Mi fa male essere ancora qui. Perché è qui che sono, ancora immobile, cristallizzata, nel mio passato. Non riesco a fare passi in avanti. Tutti i passi in avanti che ho fatto sono stati grazie a Giacomo, ma mi chiedo quanto sia giusto aggrapparsi così a qualcuno e diventare – forse – un peso, una specie di responsabilità , qualcuno da salvare. Salvare dalla noia, dalla banalità , dai ritmi scanditi e dai pavimenti puliti, e sì che io non sono una maniaca. Ma mi accorgo che da sola non valgo nulla. Sono dispersa, sono in attesa, sono perennemente qui in attesa di “cominciare”, ma non comincio mai, non comincio mai e ogni minuto che passa è sempre più colpa mia. E’ sempre stata colpa mia e lo sarà  sempre.
Stasera credo di non avere più la forza per dimenarmi e per cercare di combinare qualcosa. Mi lascerò andare e mi affiderò completamente, sperando di essere anche d’aiuto e non solo zavorra.
Vorrei sognare di nuovo. Vorrei fermarmi a guardare le stelle più spesso e provare quella sensazione di infinito e di futuro che avevo a diciannove anni. Però, adesso, è molto più difficile, anche se ho tante finestre che danno sul cielo.

La nostra musica non finisce, perché il nostro animus è come il Sole e la Luna, e come questi si genera dall’armonia musicale che scaturisce da forze opposte.
Certo. Però che male, a volte.

Dieta

Sono a dieta. Come tutte le donne in questa stagione. Come tutte le donne pressoché sempre.
Solo che io, a differenza di tutte le donne che fanno la dieta, sono grassa. Perché le donne fanno la dieta di mantenimento. Io no. Io sono una cicciona schifosa e quindi devo fare la dieta prima che le ossa delle mie gambe non riescano più a tollerare l’infausto peso del mio corpo.
Mangio normalmente, in realtà . Un’alimentazione tutt’altro che sacrificata. Ma come si sa, il problema della dieta è psicologico. Se qualcuno mi facesse da mangiare e mi dicesse che sono piatti di novelle cuisine o cose del genere, io sarei tutta sazia e non penserei mai al cibo. Invece sono a dieta e lo so perché non devo mettere troppo olio, non devo mangiare carboidrati a pranzo, non devo mangiare proteina a cena e mi sono rotta il cazzo di perdere mezzo etto alla settimana. Voglio dimagrire qui e ora, subito.
Tant’è che stavo giusto pensando di amputarmi una gamba. Giusto come misura motivazionale.
Poi vivo con Mr Metabolismo Accelerato, che può mangiare un’intera confezione di Pan di Stelle da solo e avere ancora fame, che si può scofanare una confezione maxi di yogurt e dire “C’è del succo, per caso?”, che può mangiare pizza, cibo cinese e patatine fritte pressoché all’infinito e DIMAGRIRE, ebbene sì, DIMAGRISCE, la merda. E non posso nemmeno dire che faccia una vita in movimento, perché vive in simbiosi con la sua tastiera, da quando le riprese sono finite e c’è solo la post-produzione.
Ora, queste sono ingiustizie della vita. Peraltro, come faccio io a mangiarmi solo una carota quando poi lui nel piatto ha un chilo di carbonara con mezza forma di grana grattugiata sopra?
Voglio morire.
E sapete da quando sono a dieta? Da lunedì.
Ok, lunedì scorso, non ieri. Però.

Se mi alzo di notte di nascosto e vado a mangiare cose a caso, qualcuno mi spari.
Ho bisogno di motivazionismo, vi prego. Motivazionatemi… Devo perdere solo altri 6-10 chili!
Vi pregooooooo.

Ciao Uli…

Ulisse e io

Il mio cane Ulisse è morto stamattina.
Sto da schifo e non voglio mai più avere un altro cane.
Non riesco nemmeno a scrivere i miei raccontini per ricordarlo e ridere.
Anche se quella volta che si è schiantato contro il vaso di fiori e ha avuto l’orecchio moscio per due mesi…
O quando mi stava sdraiato accanto, nel campo di grano di fianco a casa, ed era estate e io leggevo e lui mi faceva compagnia dormendo, all’ombra…
O quando saltavamo il muretto in fondo alla strada in salita, quando ancora non c’era la recinzione, e lui era bravissimo e io facevo fatica a stargli dietro…
O quando siamo stati inseguiti dai cani e io l’ho preso in braccio e ho cominciato a correre verso casa, e lui mi ha sempre voluto bene, mi ha sempre salutato, ogni mattina quando uscivo e ogni sera quando tornavo, perché eravamo amici, e si fidava di me, ed è stato il mio cane.
Il mio primo e ultimo cane.
Fa un male tremendo.

Far East 2009 – The Equation of Love and Death

The Equation of Love and Death
Cao Baoping crede nell’amore dolente, tragico. La sofferenza è il motore dell’uomo, secondo lui, e tutte le nostre azioni sono tentativi disperati di raggiungere una felicità  a cui però non siamo destinati. Per questo tutto il film drammatico The Equation of Love and Death ruota intorno a una giovane tassista che approfitta del suo lavoro fortemente a contatto con la gente per cercare il suo fidanzato, scomparso nel nulla quattro anni prima.

Il film ha numerosi pregi, tra cui quello di essere chiaro e di concentrarsi su personaggi ben definiti, che aiutano lo spettatore a entrare in sintonia con le loro motivazioni. Il finale è forse un po’ confuso, con motivazioni di cui non sono sicura di aver compreso l’origine e con un esito decisamente inutile. Il voto che ho dato a questo film, però, è basso, e il motivo è ideologico. Probabilmente la mia opinione non è abbastanza attendibile e non voglio che questa osservazione sembri categoria, ma quello che ho percepito mentre guardavo il film è stato inequivocabile. Il regista Baoping ha avuto non pochi problemi nell’esportare Trouble Makers, in cui denuncia la corruzione capillare all’interno della società  cinese e, probabilmente, non ha voluto ripercorrere la stessa strada di difficoltà  e ha deciso di aderire a quello che io interpreto come un terribile compromesso. La trama del film prevede un’indagine, in cui viene coinvolta anche la polizia: ora, il ritratto che il regista fa della polizia cinese è a dir poco imbarazzante: agenti gentili, al limite del sottomesso, enormemente comprensivi verso la protagonista che, in preda a crisi isteriche, li getta a terra, li aggredisce, toglie loro le sigarette dalle mani con arroganza. Il comportamento degli agenti, in generale, è assimilabile a quello di un “padre buono” che osserva con dispiacere e tolleranza i capricci del figlio in fasce. Purtroppo, per quanto poco informata, non credo che questa sia la reale natura della polizia cinese. Continuamente, nella pellicola, da quando compare la polizia, la mia attenzione è stata totalmente veicolata a quegli scambi di battute (peraltro secondari), a quelle scene d’azione, a quei momenti di silenzio il cui unico scopo era quello di sottolineare ancora e ancora la natura magnanima del corpo di polizia. Le motivazioni del cittadino sono al primo posto. La dignità  dello stato è messa in secondo piano rispetto ai sentimenti dei protagonisti. Certo, c’è sempre un’integerrima onestà  da parte di tutti i poliziotti, ma anche una profonda e umana comprensione.

Posso capire le difficoltà  del vivere in uno stato che pratica una censura così feroce.

Posso comprendere la volontà  del regista di fare liberamente il suo lavoro e di parlare con il mondo, scendendo a compromessi nel suo paese e facendo una “marchetta” (peraltro, palesemente esagerata e quasi dissacrante) al regime.

Quello che non riesco a capire è come tutto ciò possa passare sotto silenzio.

Se fare film (così come scrivere, dipingere, come ogni forma d’arte o di comunicazione) significa semplicemente confezionare un prodotto e accettare tutti i compromessi possibili pur di arrivare a venderlo, allora non posso giustificare il regista, che ha sicuramente deciso di fare di tutto perché la sua storia raggiungesse il mondo (e questo, di per sé, è un bene) svendendo però i propri personaggi e la propria ideologia, nonché la spinta di dissidenza verso il regime che, in quanto artista di fama internazionale, possiede.

Se, invece, fare film e fare arte e comunicare significa dire quello che si ritiene eticamente giusto, sfruttare la propria posizione di potere non per lodare il sistema ma per cercare di cambiare quello che secondo la nostra coscienza ci sembra non funzionare, allora questo film è un fallimento totale, perché la storia d’amore drammatica in sé non è abbastanza forte da giustificare il compromesso della “sviolinata” alle forze dell’ordine cinesi.

Perché sì, ci sono storie che sono così forti da reggere anche terribili compromessi, ma questa non è una di quelle.
Magari la prossima volta andrà  meglio.

Voto: 2 su 5

Far East 2009 – Crush and Blush

Crush and Blush
Non ho mai pensato che il fatto di arrossire per l’imbarazzo nelle situazioni più impensabili potesse essere qualcosa di così tremendo. Invece è proprio intorno a questa caratteristica della protagonsita che ruota tutto il film. Commedia prodotta da Park Chan-wook (Old Boy best film ever), la storia racconta di Me-sook, insegnante delle superiori e delle sue disavventure da outsider emarginata al liceo, prima come allieva, poi come insegnante. Tra storie d’amore inventate, identità  rubate su MSN, nottate insonni in furenti (e fasulle) sessioni di chat porno ispirate al Kamasutra, il film fa sorridere e diverte, anche se non è nient’altro che una piacevole commedia leggera.Nonostante non nutra una spiccata preferenza per il genere, la storia è godibile. Finale un po’ trascinato e decisamente prevedibile, ma il cameo di Park Chan-wook che riveste il ruolo dello sfortunato dermatologo che fa anche da psicoterapeuta alla protagonista nevrotica ripaga di qualsiasi noia.

Voto: 3 su 5