Far East 2009 – Connected

Connected

Sottotitolo: ma perché adesso anche i giappi cominciano a copiare Hollywood?
Per la precisione: è un film di Hong Kong, prima che mi si accusi di essere una razzista che non coglie le differenze tra cinesi, coreani e giapponesi.
Il film è il remake dichiarato di “Cellular”: una donna viene rapita e, magie delle magie, riesce a rimettere insieme il telefono fisso nella baracca in cui i rapitori l’hanno rinchiusta (telefono che è stato, ovviamente, preso gentilmente a martellate) e a chiamare il solito padre di famiglia fallito che dovrà  aiutarla e salvare lei, tutta la sua famiglia e, possibilmente, anche resuscitare qualche antenato morto. Classificato come film d’azione, questo film potrebbe benissimo essere considerato fantascienza, anche solo per la scena in cui una donna – D-O-N-N-A – rimette insieme, con le sue mani fresche di manicure, un telefono ridotto così a brandelli che nemmeno Mac Gyver avrebbe potuto resuscitare. Il film è – se è possibile utilizzare questo gergo altamente tecnico – una merda totale, in cui il protagonista ha un’unica espressione (brutta) e indossa degli orrendi occhiali di scena che dovrebbero servire a fargli guadagnare la simpatia del pubblico. Tra bambini rapiti, fratelli che scoprono complotti, cellulari di ogni forma e dimensione, due scene restano impresse:
1- inseguimento in auto (una Kaa verde) in cui l’eroe dimostra di essere l’erede di Damon Hill e affronta gimcane di strade e sottopassi con una nonchalance impressionante. Noia mortale, in realtà , perché è tutto già  visto e rivisto, tranne la scena che chiude l’inseguimento in cui la Kaa sfonda un camion di coca cole giappe (sì, di Hong Kong, va bene) e si impiglia in una rete fino a fare un giro di 180° che mi ha strappato una risata sincera
2- la scena nel negozio di cellulari in cui il protagonista riscatta tutte le persone bistrattate da chi vende mercanzia rara e preziosa come i caricabatterie (???) terrorizzando un commesso arrogante di 13 anni che ci prova con una che potrebbe essere sua zia. In generale, però, telefonatissima.

Il finale è trascinato e, in meno di 5 minuti, si risolvono tutti i problemi di tutti. I cattivi muoiono, i buoni trionfano e vegnono salvati, l’eroe viene riscattato agli occhi di tutti e, ovviamente, lui e la “principessa della Telecom” si innamorano. Una merda, come ho già  detto. Alla fine ci aspettavamo che arrivassero anche Gandalf, Frodo e Bilbo di ritorno dai Porti Oscuri per dare inizio al sequel de Il Signore degli Anelli.
Durata complessiva dell’agonia: 110 minuti. Ma, come osserva argutamente Giacomo, il problema del film, in realtà , è uno solo: dura 110 minuti di troppo.

Voto: 1 su 5

Far East 2009 – K-20: Legend of the Mask

K-20: Legend of the Mask

Dal produttore di Gatchi Boy mi aspettavo qualcosa di meglio. Voglio dire, Gatchi Boy era un film su un ragazzino con la passione del wrestling che, in seguito a un incidente, perdeva la memoria a breve termine e non riusciva più a vivere una vita normale, salvo trovare una qualche forma di riscatto proprio nel suo sport preferito. Film a metà  tra una commedia dolceamara e una riflessione sull’essere uomini.
Già  dalla locandina si intuisce che il rimando a V for Vendetta è esplicito, però vogliamo avere fiducia, c’è Takeshi Kaneshiro (che non si capisce perché ora chiamano al contrario, Kaneshiro Takeshi, è come se un giorno invece di dire Brad Pitt dicessimo Pitt Brad, ma non importa), paiono esserci valori produttivi interessanti, insomma: è il film delle 20 del lunedì, “we want to believe”.
L’ambientazione è altrettanto intrigante: un mondo di controstoria in cui la Seconda Guerra Mondiale non ha mai avuto luogo e in cui quindi l’umanità  è rimasta in una sorta di anni ’20 della scienza e della tecnica. Tesla e la sua macchina per irradiare energia a distanza sono la forma tecnologica più evoluta (e quindi dimentichiamo le telecomunicazioni all’avanguardia, l’energia atomica e tutto quello che rende meravigliosamente terrificante il mondo contemporaneo). L’idea in sé può aver senso, peccato che poi il contesto diventi un pallido sfondo inutile e inutilizzato, perché se la storia fosse stata ambientata nel Giappone dell’800 non ci sarebbero state differenze strutturali nella trama e nei personaggi. Personaggi che, purtroppo, hanno quella che, in gergo tecnico, si definisce “psicologia delle patatine”: superficiali, stereotipati, causa e vittime di luoghi comuni senza fine, costruiti a tavolino con un approccio da “mestieranti” senz’anima. Se non cambio argomento passo agli insulti, temo. Il personaggio che si può considerare l’equivalente giapponese di V non spiega mai le sue motivazioni, sembra un cattivo che agisce così per salvare il mondo ma poi no, è solo un nichilista. O forse c’era altro, sotto la maschera (brutta) ma di certo non si è visto. Il personaggio femminile è lo stereotipo della brava moglie giapponese, con dei picchi di “originalità â€, del tipo la capacità  di pilotare un elicottero o la perfetta conoscenze di tecniche di difesa e lo spirito di osservazione di una spia del KGB. Il protagonista, il mio beneamato Takeshi, è una macchietta a metà  tra l’eroe tragico e l’eroe comico: buffo e goffo in alcuni casi, melò e contrito in altri, arrivando praticamente a somma zero e restando del tutto indifferente.
Best scene ever: Takeshi entra d’improvviso nella sala da bagno dell’umile dimora in cui è ospite la bella protagonista, la vede completamente nuda e bagnata e resta totalmente paralizzato, osservandola basito, fino a quando un sottile rivolo di sangue comincia a scendergli dal naso. Risate a profusione, una delle migliori rappresentazioni di un umorismo tipicamente giapponese che però mi ha sinceramente travolto. Ho riso per un quarto d’ora anche dopo, quando il film era tornato su un registro medio-tragico.
Best scena ever 2: quando – e non si capisce perché – lui e lei si devono separare, perché è logico, due che si amano, che non hanno nessun impedimento e che peraltro perseguono gli stessi obiettivi non possono restare insieme. Lei è triste e lui, per farla sorridere, le fa un gioco di prestigio facendo comparire una colomba dal nulla. Giacomo si gira e con aria sorniona mi fa: “Anche io la prossima volta che sei triste tiro fuori un uccello e ti faccio felice”. Come dargli torto? Il bello è che la sceneggiatura è di una donna. Siamo irrimediabilmente compromesse.
In effetti il film è stato un po’ il cosiddetto pacco, ma il voto che si merita è tale proprio per la scena del sangue dal naso.

Voto: 2 su 5

Far East 2009 – The Triumphant General Rouge

The Triumphant General Rouge

Primo film del mio Far East: pellicola giapponese del 2009, al contrario di quanto temevo anche se è un film del pomeriggio non è così tremendo come quelli filippini e indonesiani dello scorso anno. D’altra parte, oggi non è ancora la giornata horror (mercoledì 29 aprile) e quindi c’è margine per salvarsi.
In effetti il film è un misto tra ER, Grey’s Anatomy, Phoenix Wright e la signora Fletcher, quindi potenzialmente era il mio film preferito di sempre.
Protagonisti assurdi, come solo nei film giapponesi, interi minuti (direi un’ora e venti) senza colonna sonora, perché in effetti tutto era un gioco di sguardi, un confronto silenzioso e arguto tra personaggi che giocavano “a chi ce l’ha più lungo”.
Comunque, la storia parla di un mega-nippo-ospedale in cui ci sono intrighi di palazzo. Medici geniali e apparentemente sociopatici vengono accusati di corruzione, dottoresse terrorizzate dal sangue vengono elette come responsabili della commissione etica, grigi burocrati che suscitano brividi gelidi nei pochi sensibili rimasti cercano di scoprire la verità , ma non perché sia un paladino della giustizia, bensì perché in questo modo può risparmiare di più.
Il trionfante generale rosso del titolo è il fantasmagorico medico del pronto soccorso accusato ingiustamente (o forse no) di corruzione da parte di un fornitore farmaceutico, così soprannominato perché – si dice – abbia soccorso più di duecento persone in un’unica giornata di lavoro restando con il camice e il volto sporchi di sangue per ore e ore.
Oltre a una trama à  la signora Fletcher, il colpo di scena migliore è quello che spiega allo spettatore la reale origine del nome del “generale rosso”.
Nonostante la locandina, che mi porterebbe probabilmente al suicidio, in condizioni normali, o al cavarmi gli occhi come Edipo, il film è piacevole e a tratti comico.
Come direbbe il Santo degli Assassini di Preacher:
“Che cos’è questo?”
“Un buon inizio.”

Voto: 3 su 5

Far East Film 2009

Cari tutti, da lunedì 27 aprile a sabato 2 maggio saremo a Udine per il Far East Film, magnifica manifestazione sul cinema orientale.

Quest’anno ho anche scoperto che lui sa chi sono io e che non devo fingere un attacco epilettico quando lo incrocio perché mi vergogno nel dirgli “W IL FRIULI e W IL FAR EAST”.

Ci sentiamo presto – spero – se il mio piano di resoconto giornaliero del Festival ha successo (leggi: se trovo un hot spot Internet a cui connettermi).

Consiglio comunque a tutti, prima o poi, una visita al Far East: probabilmente il miglior festival cinematografico tenuto in Italia (sì, meglio di quell’atmosfera stantia e vecchia scuola di Venezia).

Pasquetta e gatti

Non ho molta voglia di scrivere, perché probabilmente non ho molta voglia di stare al computer.
Ma visto che siamo stati in giro e Giacomo mi ha portato nei parchi e sul Piave per farmi correre e svolazzare, allora condivido le fotografie di questi giorni…