A volte mi sembra di non possedere niente. Nei momenti di calma, quando non ho milioni di cose da fare e milioni di pensieri per la testa, mi fermo e in quei lunghi, lunghissimi attimi, mi pare di rendermi conto di tutto quello che ho e di come, in realtà , io non abbia nulla.
Da fuori non sembra. Da fuori sembra che abbia tanto, tutto. Io invece lotto ogni giorno affinché quello che sento dentro diventi anche quello che ho all’esterno. Lotto perché la mia emotività si trasformi in decisioni, perché i miei sogni diventino idee, perché le mie opinioni diventino strategie, ma non sempre succede, anzi non succede quasi mai.
Di cose che mi danno energia ne sono successe, ne succedono sempre. Il 13 settembre, in contemporanea con l’inizio delle riprese di Mine di Fabio, ho ritrovato la mia strada. Ho avuto un momento di sconforto totale, derivato in apparenza dalla nascita di Leonardo e dallo “stop” forzato dei primi mesi e il rallentamento imposto dei mesi successivi, e sbagliavo, sbagliavo, sbagliavo guardando all’arrivo di mio figlio come la fine di quello che stavo facendo prima. Ho letto la storia di un amico che, come me, come noi, sta inseguendo un sogno lungo una vita, e ho capito che ero io a essere disallineata tra i miei desideri e le mie azioni, ero io che non vedevo più la mia meta e avevo cominciato a girare intorno, ero io che mi condannavo a giorni vuoti. Ero io, non certo quel bellissimo e divertente bambino che mi è toccato in sorte e che rischiavo di cominciare a usare come capro espiatorio della mia insoddisfazione, della mia indolenza, della mia ignavia.
Avere un sogno è come leggere: non importa quello che ti mette davanti la tua quotidianità , se tu ami la lettura, troverai il modo, troverai il tempo di rubare quelle poche parole scritte ogni giorno e di leggere le storie che ami. Così i sogni. Non importa cosa succede di giorno: c’è sempre un momento per coltivarli, per amarli, accarezzarli, metterli a fuoco. E io ho ricominciato a sognare, ho ricominciato a vedere la mia meta e non solo. Quando il sogno è abbastanza intenso, poi arriva l’azione, e io ho cominciato ad agire, ho ricominciato a camminare verso la mia direzione. Ce la farò? Certo. Io ci credo. C’è gente che crede in Dio, non mi sento tanto più sciocca a credere di poter riuscire a raccontare le mie storie, a trasformare le emozioni in decisioni, i sogni in idee, le opinioni in strategie.
Solo, a volte mi accorgo dell’estrema solitudine di questo percorso. Leader non si diventa, si nasce, e io sicuramente non lo sono nata. Una squadra “tutta mia” non ce l’ho, ho solo un cuore grande così e un’impazienza quasi infantile, e allora ti accorgi che forse il tuo percorso non è una carovana rumorosa che attraversa terre brulle alzando polvere, chiasso e confusione, ma è un viaggio verso il nero del cielo più profondo, nel silenzio stellare, nel vuoto cosmico, verso un punto che nessuno ha esplorato e che tocca a te, anche se non sai ancora dov’è.
Sapere dove si vuole andare è splendido, perché hai come una luce guida che ti attira inesorabilmente verso di sé.
Sapere dove si vuole andare è anche orribile, perché comincerai a far male alle persone che non riescono a stare al passo con te. Perché decidi che vuoi andare, che DEVI andare, che non puoi farne a meno, e chi non ti sta dietro resterà per strada. La sua strada, certo, ma non più la tua, non più la vostra. Si dice che quando si arriva da qualche parte e si ottiene quello che si desiderava, ci si guarda indietro e si vede tutto quello che si è perso per arrivare fin lì. Mi chiedo, con ingenua sincerità , cosa rischio di perdere, cosa DEVO perdere per riuscire ad arrivare a destinazione.
E poi: ne sarà valsa la pena? Non lo so, ma se davvero quello che facciamo lo DOBBIAMO fare, allora è tutto inevitabile.
Io oggi sono fatta di tutto questo. Sono fatta di smania, di sogno, di impazienza, di lacrime, di risate forti, di notti passate a pensare, di improvvise ispirazioni. E poi sono fatta della mia strada, quella che ho alle spalle e quella che mi si dipana davanti. Non sto più girando intorno, ho smesso di camminare sul posto. Ho ripreso il mio viaggio verso la mia meta con passo sicuro. Tanto sta restando alle mie spalle. Tanto ancora perderò. Chissà se ne varrà la pena, ma oggi sento che questo è l’unico modo per restare integra, per conservare questa sacra energia che mi ha baciato di nuovo, che è l’unica speranza che ho di arrivare.
Allora la solitudine diventa un sollievo. Non possedere niente diventa una benedizione. La leggerezza dell’andare, del guardare in avanti e non accanto o alle spalle è un’alleata, non una maledizione. Certo, ne varrà poi la pena?
Il destino non è una catena, ma un volo.