Ciak, si gira

A minuti cominciano le riprese.
E’ tutto pronto? Credo di sì.
La Wara prepara la Ultimate Bandana.
Ale viene sconfitto da Nicola a PES.
Anna sistema i capelli e la barba a Giacomo.
Gatsu è scettico come sempre.
Ecaterina è tornata dalla Colombia giustappunto per evitare che la fotografia del film sembri quella dell’Ispettore Derrik o di un deprimente film tedesco.
Io e Paolo abbiamo finito la scena da tradurre, l’abbiamo postata, e ora c’è tutto il resto da fare.
Nikita ha recuperato un capannone ideale per evitare che i partecipanti alla prima di Philanthropy muoiano schiacciati dai calcinacci.
Insomma.
E’ tutto pronto.
E io sono qui a guardare un cielo sereno e a immaginare.
Immaginare come, tra cinque minuti, si manifesterà  la fatica di tante persone dell’ultimo anno e mezzo.
Immaginare com’è strano sentirsi sempre a un passo dall’emozione e riuscire sempre a evitarla così prontamente.
Sapere, conoscere, come si sta, quando si è così divisi, così lontani, così spettatori della vita da protagonisti di qualcun altro.

Poi però penso che ci sarò anche io, qualche volta. E che mi godrò il momento perché l’avrò aspettato com il Natale quando sei piccolo.
Come ho sempre fatto nella mia vita, ricostruirò le emozioni dalle parole, dalle fotografie, dalle immagini che si muovono su uno schermo, e riuscirò, forse, a godere del momento ancor più che se fossi stata presente.
Perché è così, per me. L’attesa, l’assenza, la potenzialità , la mancanza, tutto questo è il sostrato su cui si costruiscono i miei sentimenti, il mio sentire, il mio non dormire o dormire troppo per cercare di sognare, invano, quello che vorrei.
E’ stupido da pensare, forse, ancora più stupido da dire, ma c’è una tacca, nelle vite di tante persone, stasera, e non tutti ne sono consapevoli.
C’è una tacca indelebile che scandisce uno di quei momenti della vita che, se diventi famoso o se muori dopo aver compiuto una strage, verranno ricordati nella tua biografia come: “Dopo quella sera niente sarebbe più stato lo stesso”.

E io sono qui davanti al mio monitor e alla mia tastiera a scrivere parole, e non in carne e ossa nel luogo di vita a sentire sulla pelle. Ma è questo il mio modo di conoscere. E più che conoscere è un intuire, è un immaginare, ancora e sempre, una vita possibile.
Devo dire, però, che questa vita possibile sta diventando vera, non è più una possibilità  tra tante, è quasi l’unica che mi riguarda ora. Viaggiare, spostarsi, non sentirsi più a casa in nessun luogo e, nello stesso tempo, essere a casa ovunque, sempre, continuamente, perché il rifugio ce l’hai dentro, e in un quaderno, e in una persona lontana che, nonostante tutto, ti pensa.
O almeno io mi illudo che sia così.
“Chi vive sperando muore cagando”. Questo proverbio francese che la mia amica Alice mi ripete da anni (o forse anche ora sto solo immaginando lei che me lo dice, quando in realtà  non è mai successo), mi fa capire quanto labile siano i ricordi, le speranze, i sogni e le preveggenze.

E allora prenderò i miei Tarocchi, quelli nella scatola con il cordino, quelli consumati sugli angoli, dipinti con pennellate di colori sobri e uniformi. Li disporrò sul tappeto buio della mia camera, nel prenderò cinque a caso e cercherò di capire davvero cosa mi sta succedendo. Anche se forse già  lo so e non me ne rendo conto.

E’ una sera che è come un solco, questa, e resterà  insieme ai tanti solchi profondi della mia vita, in un cassetto dell’animo.
Non è tanto importante cosa si fa, a volte, ma il solo processo, il solo atto creativo, il solo tentare, il solo scagliarsi contro montagne invalicabili e mostruosi mulini a vento che ci rende degni di memoria.
Non è lo spettacolo finale, ma le prove, la fatica, il sudore, la disperazione delle notti che hai paura che non nascerà  niente che va ricordato.
E’ nato tanto, da tutto questo. E’ nato più di quanto ognuno di noi osasse sperare.
E quando c’è così tanto già  all’inizio non si può essere disperati, perché siamo già  andati più lontano che se non fossimo mai partiti.

E ora una sigaretta e uno sguardo al cielo. Possiamo andare ovunque. Basta che ci ricordiamo che abbiamo le ali e che dobbiamo lasciar cadere la corazza, per volare via leggeri.
Basta corazze. Basta lacrime. Stiamo volando.

Leave a Reply

Your email address will not be published.