Era una mattinata fredda e nebbiosa, con il cielo bianco tipico dei pomeriggi senza fine trascorsi sul divano a nullafacere d’inverno. Di certo, però, quella giornata non era sarebbe stata devoluta al dio Ozio, come qualche altra indifferente domenica. Era giorno di riprese alla ormai famigerata Acciaieria. Che poi è un’Alluminieria, ma nessuno ha il coraggio di dirlo. Che poi, in buona sostanza, è un cumulo di macerie.
I nostri baldi giovini si ritrovano tutti con macchine cariche, armamentari vari, costumi, armi finte, trucchi e, da non dimenticare, videocamere professionali e macchine fotografiche DiUnCertoLivello davanti al solito buco nella rete. Le 7 macchine dei presenti restano fuori alla polvere a all’inquinamento di Marghera, mentre i nostri impavidi si avventurano tra finto vetro-resina e vero amianto alla ricerca del setting giusto.
Soldati di softair, che saranno a breve comparse, compaiono insonnoliti con Gabro e Ilaria, accompagnata a sua volta dalla febbre e da un sacchetto di cracker e biscotti che costituirà il pranzo di 12 persone. Qualcuno prepara le riprese, la luce, le videocamere, qualcun altro vaga alla ricerca di cose interessanti da fotografare.
Il materiale di scena, dal nuovo arrivato, un generatore Honda verde pisello fosforecente al cavalletto da mille euro (ma buono solo per le videocamere e non per la fotografia) è sempre e inevitabilmente pesante e va ripetutamente trasportato a destra e a sinistra del set di fortuna da braccia volenterose.
Le riprese procedono bene, con soldati che fingono di cadere, Snake che si apposta dietro le colonne e fa il figo, omini buffi che si aggirano per il set e capre che lasciano palline di merda ovunque, sì, anche sul tetto.
FINE DELLA PARTE IMPERSONALE
Ho scattato fotografie per tutto il giorno, recuperando il piacere della pellicola che scorre nella macchina fotografica, del click elettrico e meccanico dello scatto della foto, della messa a fuoco, degli obiettivi con cui giocare, della sensazione di avere una sola opportunità per scattare la fotografia bene, o giusta o sbagliata, o bene o male, senza vie di mezzo, senza possibilità di rifare, di riscrivere. La macchina e la borsa con gli obiettivi erano pesanti e nonostante questo me li sono trascinati volentieri dietro per tutto il giorno, con affetto, come si fa con un bambino a cui si vogliono mostrare tante cose e che si tiene continuamente per mano, con entusiasmo.
Le riprese sono andate bene, ma la parte più emozionante, come sempre, è mettersi in “controluce” e guardare le persone, guardare come partecipano, come si rendono utili, come sono disponibili. Si è riso tanto, anche se come sempre c’è l’assillo del tempo e anche se la stanchezza, presto, arriva a farsi sentire.
Ho passeggiato per un un po’ da sola tra gli edifici svuotati di metallo e ruggine, ascoltando gli scricchiolii e le strane voci che provengono dalle cose quasi morte. Enormi stomaci ormai vuoti che sembrano chiamare cibo, che sembrano supplicare di essere riempiti, di vivere ancora per un po’. E invece niente, ci sono rottami, detriti, tetano a perdita d’occhio, piccole capre che brucano erba probabilmente arricchita con il cromo e l’amianto e un silenzio più inquietante dei rumori.
FINE DEI CAZZI MIEI
Non sono mai stata una persona diplomatica, ma a quanto pare sono “abbastanza” da convincere la gente che sono una brava persona, perché altrimenti non si spiega come due poliziotti decidano di lasciarci finire le riprese su una proprietà privata (ma decisamente abbandonata) senza, nell’ordine, denunciarci, arrestarci, tenerci una notte al fresco, sequestrarci tutto, darci delle saponette da far cadere al momento opportuno nella doccia.
Con lo sguardo contrito ammettiamo il nostro errore (di cui eravamo comunque ben consapevoli, tutta quella menata socratica che se conosci il bene, fai il bene e non il male è una cagata, abbiamo il libero arbitrio e per qualche strana coincidenza le cose illegali sono come i dolci: ci attirano di più ma ovviamente fanno male), insomma, ammettiamo l’errore e finiamo le poche inquadrature che ci mancano prima di tornare a casa, dicendo addio per sempre all’Alluminieria, che non ci vedrà mai più. Torniamo a casa, ma non a casa nostra. Andiamo in massa, con cacche sotto le scarpe, amianto nei polmoni e polvere tra i capelli, a casa di Patrizia, che ci accoglie con diverse bottiglie di vino con il chiaro obiettivo di ubriacarci, visto che per pranzo avevamo mangiato due Rigoli Galbusera e un cracker ai più fortunati. In effetti il suo tentativo riesce bene, e ci ritroviamo alle sette di sera alticci che ci dirigiamo verso la pizzeria, saltellanti e affamati come lupi.
FINE DELLA PARTE OGGETTIVA DELLA SERATA
La cena è piacevole, così come la chiacchierata di aperitivo da Patrizia. Parliamo, in ordine sparso, di cose come la Chiesa, l’entità vetusta e demodè della Chiesa, l’intransigenza della Chiesa e l’ipotesi di curare le persone oggi con il Codice Hammurabi. Parliamo anche di come Hive conquisterà il mondo, del fatto che forniamo un servizio socialmente utile, che i telegiornali dicono sempre che la società non crea luoghi e occasioni che permettano ai giovani di esprimersi e invece noi facciamo esattamente questo, ossia creiamo un’illusione per tutti, ma in cui tutti credono, quindi funziona.
La pizza è buona, ma dopo mezza birra non riesco più a capire cosa sto mangiando. Patrizia nota con stupore l’ossessione ano-genitale di Giacomo, tutti ridiamo ma non otteniamo spiegazioni.
La serata si conclude con le seguenti ipotesi:
1- conquistare il mondo
2- prenderci tutti 4 mesi di tempo, ritrovarci a vivere insieme in un’enorme casa e finire le riprese di Philanthropy in 4 mesi e non in 4 anni
3- un montaggio grezzo del filmato del giorno da parte di Giacomo ENTRO SERA
Ci salutiamo e andiamo tutti via, tranne Rob che resta incastrato col filo dello yo yo nella porta d’ingresso di Patrizia e tutti pensiamo con malizia a chissà , perché in fondo siamo delle comari di paese. Dopo Philanthropy, Beautiful!
A casa ci facciamo una doccia per scacciare via il nero del diavolo del demonio che ci si è incollato addosso e poi io mi metto a letto a fare l’imitazione di un tronchetto della felicità , con spalle, braccia e schiena bloccate in una morsa di dolore, mentre Giacomo, non so con quali forze, monta (porcoh) le scene del giorno. Mi addormento e nel dormiveglia ricordo solo un bacio all’arancia. Poi è mattina.
mamy non mi ero mai collegata al tuo alchemico….COME SCRIVI BENE!!!!!
Ditemi che è un troll e non è davvero mia madre…
=_=’