Ciao zio, come stai? Io benone, anche se non scrivo tanto.
Però oggi ho riletto alcune righe di Borges e ho pensato che dovevo scrivertele.
Ti ricordi, a Natale, che ci siamo visti e sono fuggita dal pranzo dei parenti e abbiamo parlato, tra un bicchiere di grappa e l’altro, di letteratura, di me, di te, del mondo, di quello che leggi, di quello che scrivo, di quello che sono.
E che ho pianto e tutti pensavano (ma l’Ilaria aveva capito) che tu mi avessi messo alle corde e che mi stessi facendo un processo alle intenzioni e invece io ero felice perché finalmente qualcuno mi faceva delle domande, perché ti e mi interrogavi sulla scrittura, sul significato, sul senso, ecco.
Io ancora non ti posso “far vedere”, perché sono lenta e indolente, perché ho paura, perché non è sempre così facile finire le cose e dar loro una forma, però ci provo.
Ecco però leggendo il nostro Borges, oggi, ho trovato un po’ delle parole che danno risposta alle tue e alle mie domande.
E’ arrogante prenderle e attribuirsele, però sono vere e sono la cosa che più si avvicina alla verità .
Alla mia verità , quantomeno.
“L’opera non patteggerà con l’impostore Gesù Cristo”.
Buckley nega Dio, ma vuole dimostrare al Dio inesistente che gli uomini mortali sono capaci di concepire un mondo.”
E allora te le dedico, queste parole, perché nessuno come te, finora, mi ha aiutato tanto senza dire troppo, mi ha aperto gli occhi senza impormi una risposta, nessuno come te mi ha fatto sentire come Stephen Dedalus, che cercava anche un altro padre e l’ha trovato.
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