Cose che non avresti mai detto che ti sarebbero mancate

Lavorare in università .

Perché io fare il dottorato l’avevo preso come un lavoro. Non nel senso negativo, tipo “un lavoro”, ma nel senso dell’impegno. Tutto quello spazio, quelle risorse e quelle persone con cui cercare di costruire qualcosa. Imparare, ma da tutto, dalle lezioni a cui assisti, da quelle che tieni, dalla gente con cui parli a ricevimento, dalle pause caffé.

Non so se mi manca anche quel groppo in gola e quel terrore strisciante di quando le cose andavano male – e non ho mai capito perché, e non mi sarà  mai spiegato – ecco, quello non so se mi manca, però tutto il resto…

Fare ricerca è dura, si dice, in Italia. E’ vero, ci sono pochi fondi. Però quando sei in università  (e parlo delle facoltà  umanistiche, di quello che ho visto io), almeno ci puoi provare. Puoi costruire tanto con niente, perché se sei lì e hai tutto quel ben di dio a disposizione è un peccato non sfruttarlo, non inventarsi qualcosa, non cercare di impiegare il tempo in modo creativo. Sì, creativo, perché per me fare ricerca era un processo creativo E un lavoro di squadra. La solitudine, diciamocelo, l’ho sempre sofferta. La torre d’avorio non fa per me (tant’è che non ne faccio più parte). E’ più come svegliarsi un giorno e decidere di “cambiare il mondo”, almeno un pezzetto, almeno un poco, almeno qualche riga, e farlo, con calma, con pazienza, tutte le settimane alla stessa ora.

Non credo nei riti e tendenzialmente credo nella discontinuità  degli sforzi e nei lampi di genio, ma lavorare in università , con i ragazzi del GamesLab, invece, mi ha insegnato la pazienza della costanza, mi ha fatto vedere come dal niente nasce e cresce qualcosa, che magari alla fine si trasforma e se ne va altrove, ma intanto io c’ero, io l’ho visto, io ho anche fatto in modo che accadesse, anche se le vere forze erano loro.

Anche la mia tesi. Parole su parole che si sono ammonticchiate. Sensazioni e sentimenti legati a ogni pagina, a ogni capitolo, a ogni argomento. Ricordo quasi tutto, intendo ricordo dov’ero mentre scrivevo, quando mi sono venute certe idee, quando ho pianto di rabbia, quando ero a Londra e scribacchiavo e fotocopiavo libri, quando stavo male e però non riuscivo a smettere. Ricordo i “Non ce la farai mai” ma anche la gratificazione di discutere davanti a persone che alla fine il mio lavoro lo avevano letto davvero e che mi facevano obiezioni e critiche stimolanti che mi porterò con me e che non ho lasciato nel dimenticatoio di quel giorno.

Forse doveva passare solo un po’ di tempo perché riuscissi a ripensare agli anni del dottorato con un misto di malinconia, tristezza e soddisfazione. Malinconia perché sono passati ormai anni. Tristezza perché a volte mi sembra che sia finito tutto lì. Soddisfazione perché penso di aver dato tanto, non dico tutto ma sicuramente molto, di me intendo, e quindi ho la coscienza pulita e posso credere che anche quel percorso abbia avuto un senso. Forse.

Certo, ora non ho più le macchie sulla pelle, il mio fegato va alla grande, non resto allibita da una serie di circostanze raccapriccio che non scorderò mai, però in fondo sono felice di aver provato anche questo, nella vita, e di potermi portare nella memoria un pezzetto di persone che ho incrociato in quel mondo e che mi hanno dato tanto e a cui spero di aver restituito almeno un po’.

One thought on “Cose che non avresti mai detto che ti sarebbero mancate

  1. purtroppo il senso di perdita e di impotenza verso questo sistema non se ne andrà mai. Ma siccome so da fonti certe che la regina delle oche sta per esser fatta fuori, appena le oche cadono ci offriamo da bere a vicenda e brindiamo a chi invece ce l’ha fatta nella vita reale 😉 Che non è poco.

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