Parafrasando l’intramontabile “Guerre Stellari”, ebbene sì: dal 18 gennaio 2014 sono la mamma di Leonardo, un cicciobombo nato di 3 kg e che ha quasi doppiato il suo peso in poco più di due mesi. Biondo con dei probabili occhi azzurri, da me ha preso solo il naso e la frequenza con cui piange (spesso), ma anche la passione per il sonno (altrettanto frequente). Certo, che angoscia. Di sicuro non posso scrivere il solito post sdolcinato tutto cuoricini in cui dico che è la cosa più bella della mia vita, che mi sento una donna nuova, che è stata l’emozione più grande che mai proverò. Questi assoluti mi sanno molto di frasi fatte.
Io mio figlio l’ho vissuto con sorpresa, all’inizio, poi con tanta, tantissima angoscia, finché non è arrivata la felicità e un accenno di complicità , che spero di coltivare giorno per giorno da qui all’infinito. Essere madre, però, e questo lo dico con convinzione, è la cosa più difficile e intensa che mi sia capitata fino a oggi. àˆ fisicamente e psicologicamente faticoso, è un continuo rimettersi in gioco, è un’infinita ricerca di soluzioni rapide a problemi incomprensibili e, in generale, è fare i conti con quello che ti porti dietro e che hai cercato di nascondere. Dire che “mio figlio è un bravo bambino” mi suona sempre molto ridicolo: è un concentrato di delizia e castigo, ma certo che è un bravo bambino, solo perché io parto dal presupposto che quando piange lo fa per esprimere un bisogno. A questa età (4 mesi) è troppo presto per parlare di capricci, anche se a volte veramente mi sembra che voglia sfidarmi. Poi però mi ricordo che io stessa sono ancora incapace di esternare i miei sentimenti a dovere e che piango a ogni piè sospinto, quindi come posso aspettarmi qualcosa di diverso da un piccolo essere che vede il mondo da appena 4 mesi e che ha come quasi unica compagnia ME? No, dico: ME. Non una persona normale, non una mamma equilibrata che gli compra i vestitini e lo porta a passeggio nel parco. ME. Una scapestrata iper-emotiva che passa metà della giornata in mondi di fantasia e l’altra metà a cercare di raccontarli. Una trentenne che si crede cresciuta solo perché ha un compagno, una società , una casa in affitto e ora anche un figlio, ma che in realtà si deve arrampicare ogni giorno sugli specchi della sua quotidianità per riuscire ad arrivare a sera tutta intera. E adesso devo anche far sopravvivere e, anzi, VIVERE un bambino.
Com’è essere mamma? Soverchia ogni altra cosa. Sia per te che per gli altri. A volte. A volte, invece no.
Quindi sei mamma al 100% di giorno e di notte, quando devi provvedere al nutrimento, al calore, al divertimento, all’educazione e alla crescita di tuo figlio. Sei mamma al 100% quando devi imparare a fare tutto con lui, da attaccarlo al seno a cambiargli il pannolino a lavarlo senza farlo cadere per terra, a fargli il bagnetto senza fargli venire il raffreddore. E ancora non si è ammalato, ancora non ha messo i denti, ancora non cammina, salta, si appende: in teoria tuo figlio è il classico bambino che “mangia e dorme” (lo dovremmo confessare ai futuri genitori che questo tipo di neonato SEMPLICEMENTE NON ESISTE). Sei mamma quando, a partire dal PRIMO MESE del bambino tutti ti chiedono: “DORME LA NOTTE?” E tu prima ti senti una merda perché no, in effetti povera creatura si sveglia per mangiare 2-3 volte, poi scopri che è così per tutti e che non è il tuo bambino che è “strano”, ma che strana è tutta quella gente che si aspetta che un neonato dorma 9 ore di seguito così, senza colpo ferire.
Poi sei donna al 100% quando devi conciliare cose come l’igiene quotidiana, fare delle chiacchiere con il tuo compagno, cucinare, lavare, stendere, fare la spesa, sistemare casa, pulire, pensare ai vaccini, agli abitini, all’aria aperta, ai supporti per portare in giro tuo figlio, al lettino che nella cesta non ci sta più. L’idea di depilarti ti sembra una pratica così essenziale ma anche così esotica e lontana. Acquistare vestiti per te è un’utopia che non si verificherà mai più. Una serata fuori con le amiche non esiste. E in realtà non esisteva nemmeno prima di tuo figlio, perché hai sempre preferito uscire con gli amici e i colleghi maschi. Inoltre, a ben pensarci, il bilanciamento mamma-donna è comico, perché non si capisce dove finisca una e cominci l’altra.
Poi sei lavoratrice al 100%, e cioè quando te ne rimani con tutti i pensieri di lavoro in testa, quando hai paura di perdere i tuoi clienti per la “pausa” della maternità , quando ti manca il tuo lavoro ma, ogni volta che cerchi di metterci mano, la tua scimmia urlatrice ti ricorda che vince lei e che tu devi obbedire al suo richiamo, quando sai che tra 4 giorni ti dovrai separare dal tuo bambino per 7 ore e non hai idea di come farai tu a sopravvivere. E anche di come faranno lui e il papà . Gli altri che ti stanno attorno non sanno bene come prendere le misure: sarai la stessa oppure no? Ti carico di lavoro per farmi vedere che sei indispensabile e mi manchi, con il risultato di farti stancare come un mulo, o ti faccio un cordone sanitario attorno e ti lascio goderti la creatura, facendoti sentire superflua e aumentando la paura che nessuno ti vorrà più nell’asfittico mercato del lavoro italiano, in cui già è una semi-colpa essere donna, figuriamoci se sei anche madre.
Solo che una persona, in particolare Valentina, non può essere una persona al 300%. E quindi c’è una specie di gioco al massacro per infilare tutte quelle parti in una persona (e in una giornata) sola. Non è che mi lamento o che ho la verità assoluta, solo che mi va di scrivere di come sto e di com’è essere mamma per me, perché è un’esperienza che mi sembra di vivere in modo un po’ più profondo delle solite chiacchiere interlocutorie tra persone che si conoscono appena.
E anche, scrivo perché scrivere mi permette di fare le due cose che mi piacciono di più in questo periodo: pontificare e lamentarmi. Pontificare sulla vita, lamentarmi della fatica. Se lo faccio parlando con persone reali tutti mi ridimensionano, mi zittiscono con frasi del tipo “Ci siamo passati tutti”, “Cosa ti aspettavi che fosse essere madre”, “Stringi i denti e soffri in silenzio”. Sì, certo, proprio nel mio stile!
No, stringo i denti sì, ma soffrire in silenzio proprio no. Voglio sublimare, come sempre, scrivendo e lasciando una traccia di quello che mi capita e che mi passa per la testa mentre cerco di attraversare quella che è finora l’esperienza più difficile della mia vita: essere mamma di Leonardo!