Qui e ora

Provo una serie infinita di emozioni, oggi. Ci sono persone in grado di tirare fuori parti precise della mia personalità . Non che sia diversa a seconda di chi ho davanti, quello no, ma alcuni hanno questa dote magica di risvegliare lati di me che, per una ragione o un’altra, si addormentano di tanto in tanto, o si mettono in attesa, perché c’è qualcos’altro che prende il sopravvento.

Oggi la mia parte creativa, quella che tende ad essere una scrittrice, quella che vuole raccontare storie è stata presa per le spalle e scrollata, più e più volte. àˆ stata risvegliata, schiaffeggiata anche, messa davanti alla sua indolenza, alla sua pigrizia, alla sua natura temporeggiatrice, alla sua incompletezza e al fatto che deve ancora fare tanta, tanta strada. E ora mi prudono le mani, ora vorrei passare tutta la notte a scrivere, vorrei partire dal più piccolo racconto che ho pensato in questi mesi e, finalmente, renderlo compiuto, e poi passare alle storie più importanti, quelle che invento con Giacomo, quelle da sceneggiare, da scrivere sotto forma di romanzo, o entrambe le cose. Mi sento indietro, mi sento incompleta, mi sento che devo ancora prendere la rincorsa per spiccare quel balzo creativo che da anni sto cercando di fare, ma che continuo a rimandare.

Tutto questo, poi, si schianta fragorosamente contro mio figlio: un bambino bellissimo, la gioia mia e di suo padre (e di qualsiasi genitore, immagino), una meraviglia costante, quotidiana, una scoperta continua, una speranza, una motivazione. E, tuttavia, dentro di me, nel profondo, non riesco a far sì che mi renda completa. Ho lasciato alle mie spalle da tempo i “dovrei” e i “si dice che”, ma forse dovrei sentirmi completata al massimo, in mio figlio, dovrei sentirmi realizzata oltre ogni misura, dovrei non cercare altro dalla vita, si dice che i figli siano il nostro futuro, che siano la nostra ragione di vita, e invece per me non è così. L’amore incondizionato che provo per Leonardo lascia comunque spazio alla smania di raccontare storie. Al bisogno fisico di raccontare storie. Ogni mattina mi sveglio e voglio ricoprire mio figlio di baci. Ogni sera vado a letto e penso a tutte le storie che ho nella testa e nel cuore e che sto cercando faticosamente di far uscire attraverso le mie dita. Tutto questo che madre fa di me?

Non sono insoddisfatta, non sono frustrata, sto vivendo appieno questi mesi della vita di mio figlio, ma la parte creativa di me non è soddisfatta, non ne ha avuto nemmeno lontanamente abbastanza: l’esperienza creativa della gravidanza, l’atto creativo del parto, non hanno fatto altro che scatenarmi dentro un uragano di pensieri creativi, non hanno certo colmato quel desiderio di lasciare un segno che mi accompagna da tutta la vita. A tratti penso di essere una madre snaturata. Una madre che non si sente del tutto appagata solo ed esclusivamente in suo figlio. A tratti penso che non è giusto riversare su un bambino inconsapevole la responsabilità  del mio appagamento personale, sia umano che creativo. A tratti sento che questa spinta creativa amplificata dalla nascita di mio figlio sarà , in realtà , una forza enorme e generosa sia per me che per lui, che per il mio rapporto con Giacomo.

Però, qui e ora ci sono le mie giornate da mamma. E le mie notti da scrittrice e sognatrice. Devo imparare a centellinare i momenti, non a tracannarli sperando che passino il più in fretta possibile. Voglio godermi piccoli piedini rosa e mani umidicce di bava, ma anche crogiolarmi nelle motivazioni che spingono un personaggio ad agire, o in sentimenti di altrove che ho dentro. Esercizi di stile: di scrittura, perché ne ho bisogno, ma anche di comportamento, perché un bambino si merita tutto l’amore e l’attenzione che siamo in grado di dargli, quando siamo con lui.

Non è facile, ma gli incontri, come quello di oggi, mi ricordano che se c’è un modo intelligente di passare il tempo che separa l’adesso dalla morte, è proprio quello di crescere, sfidarsi, sorprendersi e migliorarsi.

Hubris

Stasera mi sento in gamba. Mi sento che posso spaccare il mondo. Mi sento che ce la sto facendo.

E tutto perché mio figlio sta bene. àˆ sereno. àˆ felice. E perché io affronto le fatiche quotidiane con un certo sprint che, in altre circostanze, invidierei a qualcun altro. Invece no, sono io. Ce la sto facendo, ce la stiamo facendo. Leo è il mio primo figlio, chissà , magari anche l’unico, e io sono così felice di riuscire a godermi questi primi mesi con lui, nonostante la novità , nonostante le difficoltà , la solitudine, i mille pensieri.

Certo, questo non è il massimo, se penso che arriveranno di sicuro periodi più duri, più difficili, e allora magari mi sentirò una madre di merda quando mio figlio attraverserà  delle difficoltà . Ma magari no. L’aspetto più bello di questo periodo è che è praticamente scomparsa quella parte intransigente, crudele, iper-esigente che mi accompagna da sempre e che da sempre mi schiavizza le emozioni. Ora sento che sono io che devo decidere come comportarmi col mio piccolino, non sento più di essere in balia di una parte troppo cattiva per essere utile. àˆ bello poter scegliere. Scegliere di non arrabbiarsi, scegliere di sorridere, scegliere di cercare di capire e non di imporsi.

Tutti mi ripetono che “più si va avanti, peggio è”, nel senso che diventa tutto più impegnativo. Lo capisco, ma ogni giorno per me è meglio. Ogni piccolo movimento in più, ogni volta che dobbiamo riorganizzare gli spazi, ogni precauzione di sicurezza che dobbiamo prendere significa che Leo sta diventando più presente, consapevole, “autonomo”, volitivo. E questo lo adoro. Avere un essere che dipende completamente da me, che è inerme e inerte, che mangia-e-dorme… non è questo la mia idea di figli. Io voglio qualcuno che mi sorprenda ogni giorno, che mi dia da pensare, che scombini le mie routine quotidiane e mi costringa a vivere diversamente, che mi ricordi quanto è più bello passare il tempo insieme, che mi costringa a ripetermi ogni minuto che le persone sono più importanti delle cose.

E stasera sono felice perché sento che questo piccolo bambino ciccioso è proprio questo che mi sta portando: consapevolezza, varietà , sfide. E mi sento una privilegiata.

Io sono tua madre

Parafrasando l’intramontabile “Guerre Stellari”, ebbene sì: dal 18 gennaio 2014 sono la mamma di Leonardo, un cicciobombo nato di 3 kg e che ha quasi doppiato il suo peso in poco più di due mesi. Biondo con dei probabili occhi azzurri, da me ha preso solo il naso e la frequenza con cui piange (spesso), ma anche la passione per il sonno (altrettanto frequente). Certo, che angoscia. Di sicuro non posso scrivere il solito post sdolcinato tutto cuoricini in cui dico che è la cosa più bella della mia vita, che mi sento una donna nuova, che è stata l’emozione più grande che mai proverò. Questi assoluti mi sanno molto di frasi fatte.

Io mio figlio l’ho vissuto con sorpresa, all’inizio, poi con tanta, tantissima angoscia, finché non è arrivata la felicità  e un accenno di complicità , che spero di coltivare giorno per giorno da qui all’infinito. Essere madre, però, e questo lo dico con convinzione, è la cosa più difficile e intensa che mi sia capitata fino a oggi. àˆ fisicamente e psicologicamente faticoso, è un continuo rimettersi in gioco, è un’infinita ricerca di soluzioni rapide a problemi incomprensibili e, in generale, è fare i conti con quello che ti porti dietro e che hai cercato di nascondere. Dire che “mio figlio è un bravo bambino” mi suona sempre molto ridicolo: è un concentrato di delizia e castigo, ma certo che è un bravo bambino, solo perché io parto dal presupposto che quando piange lo fa per esprimere un bisogno. A questa età  (4 mesi) è  troppo presto per parlare di capricci, anche se a volte veramente mi sembra che voglia sfidarmi. Poi però mi ricordo che io stessa sono ancora incapace di esternare i miei sentimenti a dovere e che piango a ogni piè sospinto, quindi come posso aspettarmi qualcosa di diverso da un piccolo essere che vede il mondo da appena 4 mesi e che ha come quasi unica compagnia ME? No, dico: ME. Non una persona normale, non una mamma equilibrata che gli compra i vestitini e lo porta a passeggio nel parco. ME. Una scapestrata iper-emotiva che passa metà  della giornata in mondi di fantasia e l’altra metà  a cercare di raccontarli. Una trentenne che si crede cresciuta solo perché ha un compagno, una società , una casa in affitto e ora anche un figlio, ma che in realtà  si deve arrampicare ogni giorno sugli specchi della sua quotidianità  per riuscire ad arrivare a sera tutta intera. E adesso devo anche far sopravvivere e, anzi, VIVERE un bambino.

Com’è essere mamma? Soverchia ogni altra cosa. Sia per te che per gli altri. A volte. A volte, invece no.

Quindi sei mamma al 100% di giorno e di notte, quando devi provvedere al nutrimento, al calore, al divertimento, all’educazione e alla crescita di tuo figlio. Sei mamma al 100% quando devi imparare a fare tutto con lui, da attaccarlo al seno a cambiargli il pannolino a lavarlo senza farlo cadere per terra, a fargli il bagnetto senza fargli venire il raffreddore. E ancora non si è ammalato, ancora non ha messo i denti, ancora non cammina, salta, si appende: in teoria tuo figlio è il classico bambino che “mangia e dorme” (lo dovremmo confessare ai futuri genitori che questo tipo di neonato SEMPLICEMENTE NON ESISTE). Sei mamma quando, a partire dal PRIMO MESE del bambino tutti ti chiedono: “DORME LA NOTTE?” E tu prima ti senti una merda perché no, in effetti povera creatura si sveglia per mangiare 2-3 volte, poi scopri che è così per tutti e che non è il tuo bambino che è “strano”, ma che strana è tutta quella gente che si aspetta che un neonato dorma 9 ore di seguito così, senza colpo ferire.

Poi sei donna al 100% quando devi conciliare cose come l’igiene quotidiana, fare delle chiacchiere con il tuo compagno, cucinare, lavare, stendere, fare la spesa, sistemare casa, pulire, pensare ai vaccini, agli abitini, all’aria aperta, ai supporti per portare in giro tuo figlio, al lettino che nella cesta non ci sta più. L’idea di depilarti ti sembra una pratica così essenziale ma anche così esotica e lontana. Acquistare vestiti per te è un’utopia che non si verificherà  mai più. Una serata fuori con le amiche non esiste. E in realtà  non esisteva nemmeno prima di tuo figlio, perché hai sempre preferito uscire con gli amici e i colleghi maschi. Inoltre, a ben pensarci, il bilanciamento mamma-donna è comico, perché non si capisce dove finisca una e cominci l’altra.

Poi sei lavoratrice al 100%, e cioè quando te ne rimani con tutti i pensieri di lavoro in testa, quando hai paura di perdere i tuoi clienti per la “pausa” della maternità , quando ti manca il tuo lavoro ma, ogni volta che cerchi di metterci mano, la tua scimmia urlatrice ti ricorda che vince lei e che tu devi obbedire al suo richiamo, quando sai che tra 4 giorni ti dovrai separare dal tuo bambino per 7 ore e non hai idea di come farai tu a sopravvivere. E anche di come faranno lui e il papà . Gli altri che ti stanno attorno non sanno bene come prendere le misure: sarai la stessa oppure no? Ti carico di lavoro per farmi vedere che sei indispensabile e mi manchi, con il risultato di farti stancare come un mulo, o ti faccio un cordone sanitario attorno e ti lascio goderti la creatura, facendoti sentire superflua e aumentando la paura che nessuno ti vorrà  più nell’asfittico mercato del lavoro italiano, in cui già  è una semi-colpa essere donna, figuriamoci se sei anche madre.

Solo che una persona, in particolare Valentina, non può essere una persona al 300%. E quindi c’è una specie di gioco al massacro per infilare tutte quelle parti in una persona (e in una giornata) sola. Non è che mi lamento o che ho la verità  assoluta, solo che mi va di scrivere di come sto e di com’è essere mamma per me, perché è un’esperienza che mi sembra di vivere in modo un po’ più profondo delle solite chiacchiere interlocutorie tra persone che si conoscono appena.

E anche, scrivo perché scrivere mi permette di fare le due cose che mi piacciono di più in questo periodo: pontificare e lamentarmi. Pontificare sulla vita, lamentarmi della fatica. Se lo faccio parlando con persone reali tutti mi ridimensionano, mi zittiscono con frasi del tipo “Ci siamo passati tutti”, “Cosa ti aspettavi che fosse essere madre”, “Stringi i denti e soffri in silenzio”. Sì, certo, proprio nel mio stile!

No, stringo i denti sì, ma soffrire in silenzio proprio no. Voglio sublimare, come sempre, scrivendo e lasciando una traccia di quello che mi capita e che mi passa per la testa mentre cerco di attraversare quella che è finora l’esperienza più difficile della mia vita: essere mamma di Leonardo!

 

Torno subito

Lo so, avevo molte cose in sospeso: recensioni di film, resoconti dell’orto, lavoro, vita.

Solo che la vita è una simpatica umorista e, in questi mesi, di “vita” ne ho fatta una vera scorpacciata. Dal 27 aprile, infatti, una piccola vita mi cresce nella pancia, e ora è quasi pronta a uscire. Quasi, eh! Al 17 gennaio manca ancora un po’, anche se in questi otto mesi ho fatto un viaggio bellissimo, con il mio bambino e con Giacomo, e con tutte le persone che hanno condiviso gioie (molte), dolori (poche) ed evoluzioni (fantastiche) di quello che sento.

Lo so che questi otto mesi dicono il contrario, ma non intendo smettere di scrivere, non intendo smettere di “vivere” perché tra poco nascerà  mio figlio, anzi. Voglio condividere con lui tutto quello che amo, tra cui i racconti, le storie, l’immaginazione, i libri, le amicizie vere, i viaggi, le avventure, il buon cibo. Proprio come ho cercato di fare in questi mesi in cui il piccino si affacciava al mondo!

Ora arriveranno i momenti più difficili, credo, ma anche i più intensi. Come dice il titolo di un film, I’ll sleep when I’m dead, e nel mentre mi immagino il futuro mio e di Giacomo a breve termine così:

Far East 2013 – Juvenile Offender

juvenile offender

Juvenile Offender

Corea del sud, Kang Yi-Kwan, 2012, 107′

Un buon inizio, al Far East, significa anche imbattersi molto presto nel film pacco-imbarazzo. E infatti eccoci. Un ragazzo cresciuto con il nonno finisce in riformatorio per un furto e ritrova la madre che lo aveva abbandonato 16 anni prima. Il riavvicinamento con la donna è dapprima fonte di affetto e speranza, perché il protagonista non si sente più solo e disperso in un mondo in cui nessuno sembra volergli bene, poi la vera personalità  della donna riemerge con prepotenza, con conseguenze non del tutto imprevedibili. Al di là  di una trama un po’ forzosamente ricattatoria (all’inizio del film il ragazzo si prende cura del nonno gravemente malato, è responsabile, gentile, e però chiaramente arrabbiato per via dell’abbandono e della solitudine), la regia è lenta e noiosa, i personaggi stereotipati e al limite del ridicolo, le situazioni grottesche e insensate. La madre, in particolare, dà  il suo meglio/peggio con (non volutamente) comiche scene di isteria, lacrime e strepiti, nessuna parvenza di lungimiranza e un destino segnato dalla sua stessa stupidità . Il figlio è un personaggio dolce, che meriterebbe un po’ più di introspezione, ma che viene accantonato in favore della tanto ingombrante quanto inutile madre. Gli altri sono solo delle comparse nella vita solitaria di due persone, una delle quali farà  la scelta giusta, mentre l’altra patirà  le giuste conseguenze.

Il film può fondamentalmente essere definito, più che uno “youth-drama”, un mattone sud coreano su drammi familiari con un’ingiusta indulgenza nei confronti di una madre di merda. Avrei sicuramente preferito che il tutto prendesse una piega horror-splatter, con ipotetica morte violenta (nonché lenta) di una madre che non solo abbandona il figlio una volta, ma che è in grado di ritrovarlo solo per farlo soffrire atrocemente anche una seconda. Mi sono chiesta, come sempre in questi casi, dove finiscano i diritti del genitore e dove comincino quelli del figlio e se sia meglio estromettere per sempre dalla propria vita un genitore così mediocre oppure no. Io vorrei arrogarmi il diritto di dare una risposta a questa domanda, ma non posso, perché non è la mia storia. Dovrei forse trovare il coraggio di chiederlo a chi questa vicenda la vive ogni giorno, anche se con situazioni e “personaggi” diversi, e sa cosa significa non poter contare su chi ami. Probabilmente lo farò.

2 su 5

Far East 2013 – New World

new world

New World

Corea del sud, Park Hoon-jung, 2013, 134′

Inizio il Far East di quest’anno con un film di buon auspicio. Un film “Gangster epic” in cui si notano tratti in comune con Donnie Brasco. La lotta per la successione a un boss della malavita da parte dei suoi scagnozzi porta a galla la vera personalità  di chi gli stava attorno. Non solo, la connivenza/doppio gioco di alcuni con la polizia rende ancora più intricate le carte sul tavolo. Molto interessante l’approfondimento delle meccaniche che stanno alla base dei meccanismi di infiltrazione nelle strutture criminali: il regista evita il melodramma facile e più che sui sentimenti si concentra sui processi che portano a determinate conseguenze, senza però rendere il tutto asettico come un verbale di polizia, ma arricchendolo con la giusta dose di azione, suspense e colpi di scena.

Ottima fotografia, buona regia, qualche colpo di scena memorabile e un finale decisamente apprezzabile. Forse, come vuole il trend dei film orientali ultimamente, ci sono 20-30 minuti di troppo, in un’ipertrofia narrativa che diluisce i sentimenti e le emozioni, anziché acuirli, e porta lo spettatore alla fine del film con un po’ di fatica.

3 su 5