Giornate di novembre

A volte succedono delle cose che non ti riguardano davvero, in cui non c’entri niente, ma che ti lasciano addosso una sensazione di morte sbagliata, anche se non ne sapevi nulla, anche se la tua vita non cambierà . E allora cerco di guardarmi intorno, così la paura se ne va, e cerco di accumulare ricordi da portare nella “prossima volta”. Mi conforta un po’, anche se poi piango lo stesso.

Mi ricorderò di giornate di novembre, così, con le finestre aperte e tende bianche che sventolano e aria tiepida di sole autunnale che entra dai vetri?
Mi ricorderò di tutte le cose speciali di ora?
Tutte queste sensazioni, momenti preziosi più di gioielli, perché dovrebbero svanire con la me di adesso?
Perché non possono rinascere ogni volta che io vivrò?
Perché portare solo piaghe e dolore e non tutta questa bellezza fatta di niente, fatta di momenti qualunque ma di un sentire enorme?

Calenda (un giorno prima, per me)

Questa è la notte in cui il velo è più sottile, in cui i vivi si possono avvicinare, in cui possiamo un po’ osservare.
Seduta sul vialetto di casa, ascolto i rumori delle foglie, gli scricchiolii dei rami, il freddo sotto di me, lo strano calore intorno. Al buio, con la luna velata sopra di me e l’infinito dentro, mi sono sentita al riparo, sotto il cielo notturno.
Mi è tornata in mente la Betulla, che per anni è stata la mia confidente segreta. Le sue foglie restavano immobili e silenziose, ma sapevano ascoltare.
Ho guardato il Pino Marittimo, l’ultimo di tre fratelli, che si stagliava nel cielo notturno un po’ incline al suicidio. Gli manca il mare, come dargli torto?
Mi sono ricordata dei tre Peschi dell’orto, che mi hanno dato da mangiare nei lunghi e noiosi pomeriggi estivi. Ai loro piedi cresceva una menta speciale, che aggiungeva al gusto delle pesche un aroma prezioso e irrecuperabile.
Il tronco del Pino Azzurro è stato coperto con un vaso. E’ rimasto appartato e indifferente agli sguardi per anni, finché un giorno non ha iniziato a piangere lacrime gialle e polverose, ed è caduto senza che io lo potessi salutare.

Il mio Giardino, stanotte, mi ha raccontato una storia che già  conoscevo, mi ha ricordato gli anni e i giorni e i minuti che ho passato a giocare con lui, silenziosa e costante presenza, che allora non coglievo, ma che adesso vedo in ogni giorno della mia infanzia, forte e rassicurante.

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Resta il Gelsomino Intrecciato a farmi compagnia, profumato e generoso, quando è il momento, come morto, invece, quando vuole riposare.

Strana notte, questa. Probabilmente non dormirò. Mi capita spesso, da un po’ a questa parte, ma adesso è diverso. Nel sonno dell’assenza, ora, non mi sento sola. Strano. Ma non lo sono.

“Diana Stellis Gravida, Stellarum Diana Regina”

Un ritardo, che vuoi che sia?

Piove malinconia fuori dalla mia finestra.
Oggi è una gran giornata, per qualcuno, dovrei essere felice, ma non so.
Sono qui, sveglia da troppo, dopo troppo poco sonno, ancora, che osservo la realtà  come se fosse una grandissima allucinazione.
Il mio cervello non accetta che per colpa di due ritardatari e di un po’ troppo traffico mi sono persa una giornata speciale.
Anzi, no, il mio cervello lo accetta, non ha nessun problema. E’ il mio cuore che fa fatica.

E’ vero, è solo un momento come un altro.
E’ vero, è solo una formalità .
E’ vero, è solo la stessa storia, di gente che si laurea, fiori, cappelli, lacrime delle nonne.
E’ così la stessa storia che non me ne frega niente, no, io detesto queste cose.
Anzi, ho fatto apposta a non esserci.
Questo almeno mi aiuterebbe a sbollire la rabbia, perché è insopportabile quando non sei più tu a decidere, ma semplicemente una serie di eventi stupidi e prevedibili.

Era per esorcizzare un po’.
Niente di grave, non morirò, non è mai morto nessuno.
Però brava, Vale, complimenti. Hai dimostrato che quando vuoi esserci, fai di tutto per. Proprio di tutto. Si è visto.
Brava, i complimenti.

Domani mi pentirò di questo post e vorrò cancellarlo, ma sicuramente non lo farò, presa da mille dilemmi morali tipo “onestà  con me stessa”, “per non dimenticare”, “tanto chi se la dimentica una cosa del genere”.
Quindi resterà  qui questa macchiolina di dispiacere per qualcosa che non si ripeterà .

Ora mi sdraio sul letto e ascolto tutta questa pioggia che va e che torna, sperando di sentirmi un po’ più leggera di così.

Pezzi di corpo sparsi

Come posso definire la sensazione di sentirmi sparsa e divisa? Sento una mancanza al limite della lacerazione della carne. Come se (te l’ho detto, no?) avessi dimenticato in giro un braccio o una gamba, lontani, in qualche luogo che non so.
Come faccio a ricompormi per andare a letto? Come possono le persone guardarmi e non inorridire? Sì, mi manca un pezzo, è a trecento chilometri da qui, una bella seccatura.
L’altra mattina eravamo sotto il piumone, insieme, come è normale che sia, e ora non c’è. L’ho cercato perfino sotto il letto, pensando che si fosse nascosto lì per farmi uno scherzo. Ma niente.
Mi sento un po’ come una o l’altra di quelle famose Patchwork Girl, fatta di tanti pezzi non suoi, ma senza cui non era niente.

Storia, sottomondo e Libia

Mai come in questo periodo mi sto rendendo conto come la storia sia fatta da una rete di persone e non da una serie eventi. Prima pensavo a una sovra-entità  totale, a dei meccanismi intoccabili e trascendenti. Lentamente ho capito (e sto capendo) che La storia siamo noi, nessuno si senta offeso.
I soliti, noiosi racconti di vicissitudini familiari mi sono apparsi sotto un’altra luce. Oggi ho scoperto che anche io direttamente ero coinvolta dal passato dei miei. Sì, perché mia madre è nata in Libia. E lei e la sua famiglia hanno vissuto lì per diciotto anni, fino al colpo di stato. E poi sono stati cacciati. E io non lo sapevo che né i coloni né i figli, né i figli dei figli potevano tornare in Libia. Non che avessero una gran voglia di farlo: comunque non potevamo. E allora mi sono sentita tirata in mezzo, mi sono sentita un pezzo, anche se marginale e minimo, di quella storia che non avevo mai capito.
E’ una sensazione strana. Anche noi del “sottomondo”, ogni tanto, ci accorgiamo di avere un ruolo. Quale, non si sa bene.
Per qualcuno è troppo tardi per tornare nel paese di cui mi ha raccontato tanto.
Beh, forse un giorno ci andrò io, magari tra qualche anno, e cercherò di ricordare quello che non ho mai visto. E cercherò di ricordarmi come ci si orienta tra le dune, quali sono le parolacce o come si contratta sul prezzo con i venditori.
Ma un altro giorno, adesso no.