Oggi ho fatto la mia prima lezione di Yoga. Che decisione, eh? Comunque, il fatto è che ho capito che ci sono cose da cui non si può guarire in modo tradizionale, cioè, non si possono prendere delle pillole per tutto e stare meglio. Tipo la Dermatite. Sono mesi che mi perseguita. L’ho anche portata al mare, l’ho fatta abbronzare nella speranza che si seccasse e se ne andasse, ma no, niente da fare. Ci devo convivere, oppure… Oppure, arriva il sospetto che l’approccio al problema sia sbagliato. Non mi è servito a un granché cospargermi il viso di lozioni farmaceutiche. Già sono scettica nei confronti dei farmaci, non ne prendo mai. Figuriamoci le creme. Insomma, questa Dermatite non se ne va, sta qui, appollaiata sulla mia faccia. Ormai le parlo, anche. Alla fine è come se fosse una parte di me, un po’ malata, che esprime un disagio. La gente dice di non vederla, ma io la sento, maledetta compagna. E quindi, dicevo, cambio approccio. Basta esterno. Non funziona.
Un altro fattore che ha complicato le cose: da quando ho cominciato l’università ho vissuto in una specie di letargo corporeo, sempre seduta qui a scrivere, seduta in treno a leggere, dormcchiare e sbavare sui sedili, seduta in università ad appuntare… Insomma, stavo diventando la donna-tronco, cioè le mie gambe erano scomparse sotto i vari tavoli della mia vita. Credo che da un punto di vista di benessere psico-fisico questa non sia la condizione ideale. E quindi, dopo una fallimentare prova di Tai-chi, ho tentato con lo Yoga. Il Tai-Chi non era male. Però… Non so. Dovevo fare tutti movimenti circolari, non capivo, raccogliere e sciogliere, un casino, andavo insieme. Non sono un grande esempio di coordinazione.
E’ successo che Natan, al mio ultimo compleanno, mi ha regalato degli attrezzi per fare Yoga e un libro a riguardo. E quindi come non provare?
Insomma, questa lezione di Yoga è stata illuminante. A parte che si fa fatica e ci si rilassa insieme, cosa che non pensavo fosse possibile. Poi, dopo, mi sono sentita proprio iperattiva, insomma… Infine, anche se è uno sport da palestra (io odiole palestre), non si suda in maniera smodata e non si devono fare inutili esercizi ripetitivi per rafforzare e tonificare l’interno-coscia. Quindi ho deciso di perseverare. Poi, forse, ho anche trovato una buona palestra a due passi da casa (dal sito non si direbbe, ma è così!). Insomma, vedremo.
In tutta questa faccenda, la Dermatite ancora non si è fatta sentire. Chissà cosa ne pensa. Spero che, tra qualche tempo, oramai consapevole di aver svolto il suo ruolo (ossia di avermi fatto vedereche non stavo bene) se ne sgattaioli via di notte, scendendo dalla mia fronte e sparendo nel buio…
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Una giornata di settembre
Il 23 settembre, un mese esatto dopo il mio compleanno, quest’anno, ha fatto un caldo incredibile. Il cielo era terso e sembrava un’alba estiva più che un inizio di autunno. Certo, poi vedi le viti cariche d’uva, i fichi spiaccicati sulle strade e nei giardini, ti ricordi che è appena passata Mabon, la festa del raccolto, e quindi sai che è autunno. Ma a volte non si riesce ad essere molto razionali.
La casa è come addobbata a festa. Tutta pulita, in ordine, piena di cose da bere e da mangiare, perché era logico che ci sarebbe stata una specie di invasione. Era già successo quattro anni fa, ora si ripete. Ci sono decine di persone in giro. Alcuni sono seduti sulle sedie in veranda, altre passeggiano per il giardino, altri ancora stanno in salotto, e bisbigliano.
Io mi aggiro, cercando facce conosciute, cercando di salutare, di riconoscere, di ricordare. Penso che a lui sarebbe piaciuto tutto questo. Forse non la confusione, ma sicuramente sarebbe rimasto tutta la mattina insieme agli operai mentre montavano l’impalcatura per i teli fuori dal garage.
Fa caldo, e vado in casa a posare la giacca. Esco e mi sembra di essere a un matrimonio. Se solo non fosse per la faccia da funerale di mia madre e mio zio.
Quando ci incamminiamo, sento tutta la pensatezza di quelle nenie “paleocristiane”, e mi sale una specie di insofferenza. Per fortuna non sono da sola, c’è mia sorella Giulia di fianco a me, ci teniamo sottobraccio, e lei ha un’idea spettacolare. Come in quel film, si mette a canticchiare sottovoce una canzone che non c’entra niente, ma che è perfetta per la situazione. Ci lasciamo un po’ troppo andare e forse cominciamo a cantare a voce alta, ma intorno a noi nessuno sembra accorgersi di nulla, continuano con la loro lenta cadenzata cantilena. E io, almeno io intendo, mi trovo altrove, perdo per strada i pezzi di strada, non sento più troppa tristezza, sono quasi sollevata. Se non fosse per le gomitate di mia sorella che si accorge che sto proprio cominciando a cantare a voce alta e per l’arrivo in chiesa.
Ascolto parole insulse di peccato e di perdono, ma la mia mente è altrove. Mi ricordo tutte le cose che faceva per me in vita, sono troppe, non si possono elencare. Alla fine, per noi, l’addio c’era già stato la sera prima, lì nel garage addobbato, seduti per terra con un enorme rotolo di cartaigenica ai piedi della bara, a ricordarlo, a ridere, a piangere.
Il funerale (perché di funerale si trattava) era quello di mio nonno. Morire a ottantun anni, su un balcone affacciato almare, non è poi così male. Certo, ora mi chiedo, chi poterà i pini del nostro giardino? Chi costruirà impalcature inverosimili per arrampicarsi ovunque? Chi mi parlerà delle notti nel deserto e di come ci si orienta tra le dune? Tutto quello che prima fingevo mi annoiasse, ora mi mancherà .
Forse per lui mi immaginavo una morte avventurosa com’è stata la sua vita. Magari in guerra, quella che si ricordava tanto e di cui ci ha raccontato mille episodi. Oppure cadendo da un albero mentre cercava di potarne i rami. Meglio così, però.
Natan se lo immagina che guida un camion nel deserto e cerca la strada. Lui si sa orientare ovunque.
Spero che la prossima vita ti vada bene come questa.
Blue Valentine
Era ora che la “padrona di casa” dicesse qualcosa su di sè.
Il nome, innanzitutto, nasconde chi sono, ma non troppo. Chi sa leggere tra le righe mi può ritrovare dovunque, qui dentro. Il nickname è solo un esempio di come si facile mascherarsi e nascondersi.
Potrei fare un’infinita lista di cosa mi piace e cosa no, ma penso sia meglio evitare gli elenchi e, piuttosto, cercare di arricchire con parole più interessanti questi spazi potenzialmente esistenti ma tuttora vuoti.
Poi, per spiegare (o cercare, almeno) questo dolceamaro nickname che ho, BlueValentine, vi consiglio di cominciare a conoscere un certo Tom che Aspetta da un po’ per scoprire che non tutto è così dolce come sembra…
Blue Valentines – Lyrics
She sends me blue valentines
All the way from Philadelphia
To mark the anniversary
Of someone that I used to be
And it feels just like theres
A warrant out for my arrest
Got me checkin in my rearview mirror
And I’m always on the run
Thats why I changed my name
And I didn’t think you’d ever find me here
To send me blue valentines
Like half forgotten dreams
Like a pebble in my shoe
As I walk these streets
And the ghost of your memory
Is the thistle in the kiss
And the burgler that can break a roses neck
It’s the tatooed broken promise
That I hide beneath my sleeve
And I see you every time I turn my back
She sends me blue valentines
Though I try to remain at large
They’re insisting that our love
Must have a eulogy
Why do I save all of this madness
In the nightstand drawer
There to haunt upon my shoulders
Baby I know
I’d be luckier to walk around everywhere I go
With a blind and broken heart
That sleeps beneath my lapel
She sends me my blue valentines
To remind me of my cardinal sin
I can never wash the guilt
Or get these bloodstains off my hands
And it takes a lot of whiskey
To take this nightmares go away
And I cut my bleedin heart out every nite
And I die a little more on each St. Valentines day
Remember that I promised I would
Write you…
These blue valentines
blue valentines
blue valentines