Fuori come va

Visto che la mia più migliore amica fa citazioni dal passato remoto, anche io mi devo accodare.

Non è che non scrivo, è che fuori non succede niente di nuovo.
Dentro invece c’è l’uragano, ma almeno, finalmente, per cose che riguardano me.
Sto pensando tanto, e da fuori sembra tutto uguale, non è che se ti senti in un certo modo diventi viola e tutti se ne accorgono, no, fuori va sempre tutto bene.
Come va?
Bene, e lei?
Non c’è male, ma con questo tempo…
Eh, non si sa più come vestirsi.

Mi sto stufando di compiacere il mondo con “quanto sono brava” o “quanto sono inadatta”, anche perché, diciamocelo: sono sempre più inadatta che brava.
Sto stringendo i denti e portando a termine tutte quelle cose che hanno fatto di me quello che sono in questi ultimi anni. Perché ci vuole rispetto per quello che si fa, perché è un po’ quello che si è. E io, alla fine, devo dedicarmi anima e corpo anche alle cose che sembrano non avere un futuro. Ma non posso farne a meno, perché mi hanno insegnato così, e voglio essere corretta fino in fondo.

Poi però ci penserò due volte, anzi tre, anche di più a dire il vero, perché il punto è uno solo: nella vita ci sono tante sfumature, non c’è solo la linea della vita di Donnie Darko, amore e paura, c’è un mare in mezzo, e questo va bene, ma noi siamo qui e abbiamo un sacchetto di numeri e li dobbiamo mettere su diversi piatti, come di una bilancia, e alcuni piatti fanno pendere la nostra vita verso la felicità , altri verso la rassegnazione. E ogni giorno poniamo questi bellissimi numeri su un piatto e a un certo punto i numeri finiscono. E ciao.
Ed è triste quando ti fermi un attimo e vedi che i piatti della rassegnazione sono più pieni di quelli della felicità . Non va per niente bene e non capisci perché non cambi, perché non riesci a smettere, perché non cominci a mettere i numeri sui piatti giusti.

E’ la storia più vecchia del mondo, non ho bisogno di saggezza, lo so che ci sono già  passati tutti e tutti (tanti) hanno già  fallito, ma io non voglio essere infelice. Non voglio più mettere numeri, i miei numeri, i miei minuti che poi si sommano fino a diventare giorni e anni e una vita intera, non voglio più metterli su dei piatti sbagliati, che poi pendono dalla parte della tristezza. Non voglio più avere davanti piatti sbagliati. Voglio rovesciare la tavola, trovare la maglia rotta nella rete, guardare il cielo stellato tutti i giorni e tutte le notti.

Sono stanca di essere così diligente, sono stanca di essere paziente e di pensare che sto facendo tutto quello che sto facendo per un futuro luminoso. Voglio i miei minuti, tutti, anche se è un’utopia. Tanto, in questo senso, è tutto un’utopia. E’ solo che, purtroppo o per fortuna, non riesco più a stare nella mia pelle, che ho visto qualcosa al di là  e non voglio restare qui, che la musica e il silenzio, la veglia e il sonno, il riso e il pianto non hanno nessun sapore se non mi sento libera. Vivo in un calderone di emozioni e sto imparando ad accettarlo, però non voglio mai, mai, mai accettare di appassire come sto cominciando a fare, non voglio spegnermi, voglio che l’azzurro sia più azzurro, che quella canzone mi ricordi immagini e che il sapore di un bacio sia l’ultima cosa a cui penso prima di dormire.

E’ immaturo, è sciocco, è irrazionale, è inutile, è improduttivo, è rischioso, è strano, è anormale, è ridicolo, è sconclusionato.
Ma mi fa stare meglio, e le lacrime mi diventano dolci e i ricordi mi diventano più leggeri.
Non dirò che vorrei non essere così, no. Dirò che vorrei esserlo e che devo solo chiudere alcune cose, in un modo (spero) o nell’altro (spero di no) e poi non ci saranno più minuti né piatti né aggettivi. Ci saranno parole, le mie parole, che sono sicura avranno senso, e saranno bellissime, e saranno storie, e non tutto quello che invece ha poco senso, che è la realtà . Sarà  fantasia, sarà  fantastico, saranno visioni calate in tutti i miei giorni, saranno stagioni, e sono felice. Non “sarò”, ma sono, già  ora, perché so che quella è la mia prossima tappa (non una meta, le mete sono finali) e che sarà  tanto diversa da tutte quelle che ho raggiunto finora.

Estate. Ma ho 28 anni.

Visto che io non ho avuto il privilegio di desiderare di salvare i bimbi dell’Africa, mi ritrovo nello stesso posto in cui sono cresciuta, con tante cose da fare ma anche con una strana sensazione di inadeguatezza. La solita, in effetti, ma non voglio parlare di questo.
A che punto sono arrivata? Perché mi sento in dovere di tirare delle somme, oggi, 30 giugno, metà  inesatta del mio ventottesimo anno di vita?
Mi sento un passo indietro, un passo indietro a dove dovrei essere, sempre. Anche oggi, in effetti.
Però sono innamorata, ancora, ho due bei lavori che mi riempiono le giornate e le notti, ho una casa gialle blu in cui crescono tutte le piante che voglio, ho pile di libri ammonticchiate ovunque e passo il mio tempo libero lontana dai centri commerciali e immersa in progetti e idee con persone che mi piacciono.
Forse invece che liquidare così brevemente la lista dei miei achievement, dei miei successi, delle mie vittorie di Pirro, dovrei soffermarmi di più, narcisisticamente, a contemplare quello che una quasi ventottenne ha raggiunto col sudore della propria fronte, trovandosi nel posto giusto al momento giusto e facendo leva sul fatto che sembra molto più acuta e intelligente di quanto in realtà  non sia.

Io non tremo. E’ solo un po’ di me che se ne va.
Non è tutto così negativo, Valentina.
Stai male perché ti piace così, Vale.
Non c’è niente che non va nella tua vita.
Ho un Moleskine pieno di queste frasi, nonché un’infinita cronologia di conversazioni su Messenger e conversazioni live o al telefono, lettere scritte sui treni piene di buone intenzioni, consolazioni, amici arrabbiati che non ce la fanno più e mia madre che vuole che mi compri un vestito per un matrimonio.
E’ tutto così perfetto.
Schifosamente perfetto.
Perché non è nemmeno perfetto, è come gli oggetti sparsi alla rinfusa sui tavoli delle case delle riviste di arredamento: fanno così vita vissuta, ma sono la cosa più finta di tutte. Io sono un oggetto sparso alla rinfusa. Sono l’eccezione all’istanza d’ordine che rende tutto più ordinato. Sono l’elemento nella casella che sborda un po’, quel poco che basta a farlo apparire ribelle ma che non disturba la composizione.

E cancello il tuo nome dalla mia facciata.
E confondo i miei alibi e le tue ragioni.
I miei alibi e le tue ragioni.
Vai vai. No ma vai pure ad aiutare i negri dell’Africa, tanto qui stiamo bene. Abbiamo i cellulari. Abbiamo la benzina a un euro e sessanta. Abbiamo Sky. Ancora i tuoi quattro assi, bada bene di un colore solo, li puoi nascondere o giocare come vuoi. Il resto è fumo, perché eravamo amici, una volta, eravamo amici per la pelle, e poi sei partito, e ora cosa succede? Cosa? Che noi restiamo qui a cercare di auto-determinarci, a fare Dio mentre tu lo insegni a gente semplice, che parla solo la sua lingua e non le nostre, è tutto quel che ho di te ora, tanta rabbia e una casa vuota.
E dei pezzi di vetro. Con due anime. Una luna. Dei fuochi alle spalle. Un angolo retto e una stella.
Bello vero? Romantico? Un altro degli ultimi eroi romantici che abbiamo. Ti sposi,e poi te ne vai. Ma come fai, come hai fatto a lasciarci qui, dovevamo farlo insieme o no? Dovevamo cambiarlo insieme questo mondo, invece no, ognuno per sé, e cerchiamo di tirare i remi in barca che, signora mia, non si sa più come vestirsi.
Ferirsi è possibile, morire anche, e sicuramente da soli non siamo più al sicuro. Ma è questo che mi rode, è questo che mi fa male e che mi fa odiare le tue scelte stupide e il tuo egoismo che non so avere, che alla fine invidio. Partire e andare dove? A costruire qualcosa che vedremo? A piangere e ridere di qualcosa che possiamo toccare?

E’ questo il punto: odio i miei desideri, perché non sono facili come i tuoi.
Non sono nobili, lastricati di buone intenzioni e tangibili come i tuoi.
Quindi è qualcosa qua dentro, è qualcosa che malfunziona qui, perché è come ordinare sempre il cibo sbagliato quando vai al ristorante, è essere sempre scontenti di quello che si ha, è la solitudine di fare scelte che gli altri non capiscono. Ancora peggio, è la solitudine di fare scelte difficili che agli altri sembrano scontate. Facili. Insignificanti.
Hanno ammazzato Pablo. Pablo è vivo.
Evaporata in una nuvola rossa, in una delle molte feritoie della notte, è così che mi sento.
Ma stanotte non dormo, finalmente non dormo, anche se sono più stanca di voi, sono molto più stanca di voi.
E’ questo che mi amareggia, che nonostante tutto io ci credevo.
Invece mi ritrovo all’ennesima partenza, a guardare il cielo dallo stesso posto, fiduciosa che cambierò il mondo, sì, lo farò. Ma non con voi, non con te.

E il mio cielo resta lo stesso
Fra macchie di tempo trascorso.
Andate, voi, io ho il mio impero
di macerie
a cui badare.

Faccio outing…

E’ ufficiale: sono una nintendara.
Mi diverto a giocare con quasi tutti i giochi per console Nintendo, anche se fanno cagare.
Mi diverto col WiiMote, col WiiFit, con WiiSport.
Sono atea e penso che Mario Galaxy sia Dio (sì, anche a distanza di mesi continuo a sentire che è la cosa più vicina alla divinità  in cui mi sia mai imbattuta).
Passo i venerdì sera con gli amici a giocare con il Wii.

Sono una nintendara, e se a qualcuno non sta bene, quella è la porta.
Sì, anche se sono incapace, anche se perdo sempre, anche se non riesco a fare le flessioni.
O forse proprio per questo…

Miyamoto I love you

Ho sedici anni

Forse, a volte, diciannove. Ma mai più di così.
Sono in balia dei miei sentimenti, solo che non lo riconosco più. Per questo sto così male.
Ho ancora sedici anni, mi innamoro di continuo delle cose e delle persone, la sorpresa, la volontà  di scoprire, e insieme l’inconsapevolezza di quello che sono, la falsa modestia e l’arroganza, il senso di libertà  e l’euforia, il freddolino e il non riuscire a stare sotto le coperte.
E’ questo che mi dimentico, è per questo che poi sono triste, che non riesco a stare seduta, che ho sempre voglia di dormire, anche.
Ho voglia di queste notti di poesie, parole, divano e coperte arrotolate sotto le ginocchia, a casaccio, ho voglia di bere e fumare, senza moderazione, senza ritegno e in effetti lo faccio. Più poesia e meno sensi di colpa, prego.
Il silenzio non mi infastidisce, mi ricorda Neruda e Hikmet, quando li ho scoperti, mi ricorda Borges, non sono sola, e Battaglia e James, l’unico che meriti di essere ricordato, e Virginia.
Ma sono davvero la sola che si innamora ancora dei personaggi dei libri?
Che ultimamente non ne sto conoscendo tanti di nuovi, ma sono fedele ai miei storici, Clarissa e Molly e Steven e anche Emma Zunz oppure Omero degli Immortali, il leopardo con le macchie di universo, e i labirinti, oddio i labirinti di Borges, dove sono?
Spero di morire, prima o poi, e di andare all’inferno e che l’inferno sia la Biblioteca di Babele o la Lotteria di Babilonia.
Sono sul serio l’unica che vorrebbe vivere lì, nella creazione di un genio?

Septimus, ti penso tanto in questi giorni. Ti penso tanto in questi mesi. Ora vado a dormire, ma senza knives, senza gaspipes, solo col mio peso addosso. E ti penso, perché ci sono sempre due strade, solo che la seconda non si vede mai. Tu non l’hai vista, ma io so che c’è. Me la ricordo. E la voglio imboccare di nuovo.
Buonanotte.

Bentornata.

Dormire

Passo metà  del mio tempo libero angosciandomi per quello che devo fare, senza riuscire a farlo.
L’altra metà  la passo in uno strano limbo di sonno comatoso, pomeriggi sprecati a occhi chiusi addormentata da qualche parte, perdendomi vita, cose da leggere, musica da ascoltare, pagine da scrivere.
Sono esausta, sono stanca, non basta dormire e riposarsi, non basta più niente.
Mi dicono di tenere duro, che passerà .
Ma certo, passa tutto.
Però ora sono stanca, e il tempo che sto perdendo e l’amarezza che sto provando non riesco a metterli da parte. Non riesco andare oltre.
E allora dormo, così non ci penso, così poi passa. E intanto mi perdo pezzi di vita.

Heroin

Non mi ricordo se l’ho già  scritto.
Probabilmente sì, ma ho l’Alzheimer e lo dico ancora.
Che poi non è che sia un pensiero così originale.
Basta cercare la poesia nei libri. Tipo nei libri di Aldo Nove, che è un po’ il male del nostro tempo insieme alla Tamaro.

Cerchiamola nelle canzoni. Low Culture. Sì sì certo.
E allora arriva in soccorso la Factory, e Lou.
Dani, ti ricordi Perfect Day? Non è poesia quella? Mi evoca tutti i nostri momenti insieme.
E poi c’è questa, che mi evoca tutti i miei momenti da sola.
Che poi non ho il coraggio di provare, però se mi devo mettere lì e immaginare, è così che me la immagino.

“Perché la lama nelle vene
Mi fa scoprire il cuore della mia mente
Ed è meglio che morire
Perché quando la marea comincia a salire
Tutto diventa silente”

A volte penso che i traduttori traducano solo per pensare di essere loro gli autori delle bellissime frasi che trovano nel mondo.
O magari è per condividere.

Vorrei svegliarmi una mattina ed essere Joyce.
Poi, ancora, mi ricordano che c’è qualcuno che si è svegliato una mattina ed era uno scarafaggio gigante…

I don’t know just where I’m going
But I’m gonna try for the kingdom, if I can
‘Cause it makes me feel like I’m a man
When I put a spike into my vein
And I’ll tell ya, things aren’t quite the same
When I’m rushing on my run
And I feel just like Jesus’ son
And I guess that I just don’t know
And I guess that I just don’t know

I have made the big decision
I’m gonna try to nullify my life
‘Cause when the blood begins to flow
When it shoots up the dropper’s neck
When I’m closing in on death
And you can’t help me not, you guys
And all you sweet girls with all your sweet silly talk
You can all go take a walk
And I guess that I just don’t know
And I guess that I just don’t know

I wish that I was born a thousand years ago
I wish that I’d sail the darkened seas
On a great big clipper ship
Going from this land here to that
In a sailor’s suit and cap
Away from the big city
Where a man can not be free
Of all of the evils of this town
And of himself, and those around
Oh, and I guess that I just don’t know
Oh, and I guess that I just don’t know

Heroin, be the death of me
Heroin, it’s my wife and it’s my life
Because a mainer to my vein
Leads to a center in my head
And then I’m better off than dead
Because when the smack begins to flow
I really don’t care anymore
About all the Jim-Jim’s in this town
And all the politicians makin’ busy sounds
And everybody puttin’ everybody else down
And all the dead bodies piled up in mounds

‘Cause when the smack begins to flow
Then I really don’t care anymore
Ah, when the heroin is in my blood
And that blood is in my head
Then thank God that I’m as good as dead
Then thank your God that I’m not aware
And thank God that I just don’t care
And I guess I just don’t know
And I guess I just don’t know