Ciao Cile…

Ciao Cile. Non riesco a dire altro.

Ciao Cilel

E invece, penso molto. Penso che sei sepolto lì dietro, in giardino, e che ti ho scavato la buca di notte, con Natan che illuminava il terreno con una torcia. E penso che ho portato tre lanterne accese fuori, e le ho messe lì intorno, per rischiarare una notte buia e triste come quella di ieri, in cui ti ho dovuto salutare, spezzato e con il sangue alla bocca, ingiustamente, a due anni.
I gatti anno nove vite, tu le tue te le sei bruciate in fretta.
Chissà  chi ti ha investito.
Chissà  perché non si è nemmeno fermato.
Chissà  se ti avessimo costretto a stare in casa…
Ma non si può. Voi gatti siete liberi, incoscienti e tu, da piccolo, eri anche sordo. Una volta hai rischiato di essere mangiato da Ulisse, con cui poi hai fatto amicizia. Una volta un altro cane ti ha quasi staccato la testa. Ma sei sopravvissuto. Mille altre volte ti sei azzuffato con la gatta. Ma non era mai “per davvero”.
Ora non farai più niente di tutto ciò. Chissà  se rinascerai. In cosa rinascerai. In che forma, intendo. Se sarai ancora gatto, spero che mi ritroverai, come hai fatto stavolta, e che vorrai stare ancora con me.
Per quanto mi riguarda, ti ricorderò sornione, beato, bianco_sporco, con le zampe enormi, con i tuoi occhi azzurrissimi e quel pelo lungo e bianco.
Per quanto mi riguarda, oggi è un giorno orrendo e non riesco a smettere di pensare che sei là  fuori, dietro la finestra del bagno, con un mazzolino di fiori striminzito sul terreno, dove ci sei tu.
Come in un racconto di Poe, vorrei scavare, la notte, e venire a tirarti fuori, per vedere se sei ancora vivo. Il cuore mi dice così, ma la mente e le mani che ti hanno sentito freddo e rigido, sanno che è altrimenti.

Per due anni mi hai fatto compagnia. Per due anni mi hai fatto sorridere.
Ciao Cile…

Cile uno
Cile due
Cile tre
Cile quattro

P.S: anche Natan sta molto male. Pensa un po’, è sicuro che tu fossi il suo vecchio gatto reincarnato… Se non era stata fortuna questa, ritrovarvi così…

La mia Chiave Pubblica

Ecco, qui potete comodamente scaricare e importare la mia Chiave Pubblica. Se dovete mandarmi messaggi particolarmente segreti, criptate con questa e inviate!
Ma quante cose si scoprono e si imparano?
Finalmente Echelon non si farà  più i fatti miei!

(forse…)Ecco, qui potete comodamente scaricare e importare la mia Chiave Pubblica. Se dovete mandarmi messaggi particolarmente segreti, criptate con questa e inviate!
Ma quante cose si scoprono e si imparano?
Finalmente Echelon non si farà  più i fatti miei!

(forse…)

Biforcazioni oniriche

“Camminavo
vicino alle rive del fiume
nella brezza fredda degli ultimi giorni d’inverno.”

E mi trovo come al solito davanti a un bivio. Ho scoperto di essere una professionista, con i bivi, con le biforcazioni. Il solito discorso che vale per tutti, vale anche per me. Se scelgo una strada, mi perdo l’altra. Non si torna indietro. Assolutamente no. Ma io ho trovato un modo. Io sono un genio e ho trovato un modo geniale per affrontare queste situazioni. Con calma, cerco uno spazio tranquillo accanto al sentiero, un po’ d’erba, qualche foglia secca. Perfetto.
Mi sdraio e mi metto a dormire.
Così posso vivere tutto, senza esclusioni, senza rinunce. Senza limitazioni.
Dormo, e mentre dormo sogno tutto quello che poteva essere, sia da una parte che dall’altra. Dormo e sogno, e anche queste sole due parole mi accolgono, e il terreno mi accoglie, e i miei sogni sono sempre a colori ed è il mio mondo, perfetto e illimitato, eterno perché nel sogno riesco a fare quello che non riesco nella vita, ossia fermarmi e non pensare, vivere il momento.
E’ ironico, no?
Riesco a vivere pienamente solo in un succedaneo della vita.
Riesco ad essere veramente viva solo nella sospensione della vita.
Però è un’assuefazione, non se ne può fare a meno.
E quindi chiudo gli occhi, alla fine dell’inverno, e mi sdraio su un prato a sognare.
E quindi chiudo gli occhi, alla fine di questo momento, e mi sdraio sul tappeto a sognare.
Un giorno mi dovrò svegliare, e mi renderò conto che sono ancora al primo bivio della mia vita, che in realtà  non ho mai scelto, che in realtà  ho solo rimandato un viaggio inevitabile e doloroso (in un modo o nell’altro).
Però ora no, ora dormo. E, soprattutto, sogno di vivere.
Per vivere c’è sempre tempo, no?
No?

[voglio ringraziare Borges per avermi fatto scoprire la bellezza della biforcazione ed Eddie Vedder per aver scritto la canzone più bella del mondo per i titoli di coda di Big Fish]

Cazzöla con Parenti – 2004

Succede ogni anno, è inevitabile, ormai, peggio delle feste comandate. Succede che si deve espletare questo rito barbaro animale di mangiare chili di carne di maiale con chili di cavoli auto-coltivati. E’ una cerimonia complessa, che richiede un intero giorno di preparativi e, di conseguenza, un’intera giornata di “fruizione”.
Il Giorno della Cazzöla. La Cazzöla, abominio della cucina lombarda. Quante famiglie la cucineranno? Tante. Per gli altri sarà  un normale piatto, magari un po’ più indigesto degli altri. Non per noi. Qui la questione di complica.

Quella di seguito riportata è la formula rituale che la Famiglia (la mia) ha ideato, sperimentato e perfezionato in anni e anni di lavoro per il Giorno della Cazzöla.
Non deve valere per tutti. Non può valere per tutti. Non sono mica tutti come noi. Perché la Famiglia non è normale…

1- La Ricetta
Il numero totale di partecipanti al rito è, solitamente, mai inferiore ai dieci e, finora, mai superiore ai quindici (ma non c’è nessun limite vincolante). Nonostante il numero di persone sia sempre più o meno lo stesso, ogni anno, al momento dell’acquisto e della preparazione degli ingredienti, scoppiano guerre furibonde tra il Padre e la Madre per i quantitativi. Secondo il Padre, qualunque quantità  è poca. La Madre, per fortuna, ha più senso della misura. E, nonostante abbia sempre ragione lei, ogni anno il Padre passa giorni e giorni in paranoia più totale ripetendo, quasi fosse una litania (d’altra parte, è un rito…), “Ohhh… No… Troppo poco… Troppo poco… Non bastano… Non basteranno mai…”
Per fugare i dubbi, propongo qui una ricetta (gli ingredienti e le quantità ) che tornerà  utile nei giorni bui dell’anno prossimo, quando il problema si riproporrà .

Cazzöla, ingredienti per 12 persone:
Cavoli (verze): 15 chili
Puntine di maiale: 5 chili
Salsicce (piccole e tonde): 15 pezzi
Cotenna: 1 chilo

I cavoli devono essere quelli dell’orto dello zio Roberto. Quest’anno ne aveva 18, ma le farfalline glieli hanno mangiati (ma che farfalline erano?!). Ne abbiamo usati circa 10. La carne deve essere ottima, di maiali non grassi alimentati a cibi biologici e sottoposti a severo allenamento fisico. Devono essere in carne e in forma, non sovrappeso! Cotenne, salamini si confondono nel mucchio. Fanno colore.

Spero in questo modo di evitare giorni di angoscia e di titubanza.
Conoscendo il Padre, so che non sarà  possibile. Ma va bene così.

2- La Preparazione
Parafrasando una famosa pubblicità , “Per cucinare dei grandi cavoli, non ci vuole un grande pentolone, ci vuole un pentolone grande!”
E un pentolone grande (molto grande), guardacaso, fa proprio parte dei beni più preziosi della Famiglia.
Poi ci vogliono mani e adepti pronti a sezionare e preparare i cavoli ad arte, lavando foglia per foglia, con amore e dedizione. Infine, tutte le foglie vanno inserite nel suddetto pentolone, che sarà  portato a spalle in cantina dai membri più forti della Famiglia (che fortuna, il Padre ed io). Infine, nei bui anfratti del garage, avverà  la cottura dell’innominabile. Ore ed ore di ribollitura abominevole. Solitamente, l’unico membro che resta ad assistere a questa parte del rituale è il Padre. Con un enorme bastone, in modalità  Stregone, rimesta senza pace (dicono che, durante il resto dell’anno, nelle notti di luna piena, il Padre si aggiri cercando cavoli e pentolone, che però vengono debitamente nascosti). Gli altri membri della Famiglia vengono dispensati da questa parte ripugnante del rito. Le Figlie escono (o meglio, fuggono), la Madre si dedica ad attività  di preparazione ambientale (tavola, bevande et similia).
Ma non è tutto. una volta cotti i cavoli, ricomincia la fase del lamento: visto che durante la cottura il volume delle verze diminuisce visibilmente, il Padre ricomincia i suoi gridi di angoscia, minacciando e mettendo tutti in guardia. Quest’anno non sarà  abbastanza.
Viene, a questo punto, inserita la carne (precedentemente trattata in modo opportuno dalla Madre), e i cavoli e la carne vengono suddivisi in pentole di dimensioni più umane che verranno piazzate (rigorosamente tutte insieme) nell’unico forno di casa. E’ la Madre che sovrintende ai lavori. Cucina e sala la carne, assaggia i cavoli per capire se saranno troppo insipidi, effettua calcoli matematici e inventa algoritmi complessi per inserire un egual numero di puntine, cotenne e salsicce nelle varie pentole, controlla che la cottura in forno abbia buon esito.
Un dettaglio quasi insignificante che stavo per dimenticare. La famiglia del Padre è lombarda da generazioni. Anche un po’ veneta, a dire il vero. Però del freddo Nord, insomma. La famiglia della Madre è Meridionale da generazioni. La Madre, addirittura, è nata in Libia, a Tripoli. Eppure, adottata da questa terra, ha saputo imparare a cucinare il piatto tipico rituale lombardo come nemmeno il Padre e i suoi fratelli sanno fare.
Quindi, ricordare: per una cazzöla ben riuscita, si consiglia l’uso di un cuoco (o una cuoca) del Sud. Più del sud è, meglio è. Capirete che noi, con la Libica, abbiamo un’arma segreta.

La preparazione dell’abitazione ad accogliere 12 persone è affare di ciascuno. Noi dobbiamo recuperare sedie dai loci più indescrivibili. Ognuno se la sbrigherà  come meglio crede.

3- Il Giorno della Cazzöla
Solitamente il Rito del Giorno della Cazzöla si svolge la domenica a mezzogiorno. Come ogni festa “religiosa”, anche questa non ha una collocazione temporale casuale: la giornata del sabato è interamente dedicata ai preparativi. La giornata della domenica è dedicata all’assunzione. Il pomeriggio della domenica è dedicato al cosiddetto “ripiglio”.
Svegliarsi con odore di cavolo, maiale e cotica la domenica mattina non è un’esperienza per tutti. Noi ormai siamo abituati. Anzi, siamo quasi affezionati. Ma per uno “straniero” sarebbe un momento duro da superare.
Dopo gli ultimi frenetici preparativi, i parenti arrivano all’una, precisi e affamati come sempre.
I parenti, nell’ordine sono. La zia Rosalba (la Sorella del Padre), lo zio Roberto e il Marco. Lo zio Gino (il Fratello del Padre), la zia Mariarosa e il Simone. Quest’anno, new entry, c’era la ragazza del Simone. Si trovata nel bel mezzo di un nuovo film di “la Famiglia Entertainment”: La mia grossa, grassa Cazzöla lombarda. Chissà  se tornerà  l’anno prossimo.
Poi, ovviamente, c’è la Famiglia: il Padre, la Madre, la Vale, la Giulia.
(nota bene: gli articoli davanti ai nomi propri sono parte integrante dei nomi stessi.)
La zia Rosalba si occupa dei dolci. Lo zio Gino si occupa delle bevande. Quest’anno ha portato una bottiglia leggermente più grossa del normale
Spumante con la cazzöla, direte voi? Ebbene sì. Perché secondo lo zio Gino, lo spumante frizzantino aiuta il famosissimo processo del disgà¶rg. Permette, cioè, di mangiare a volontà  il “cibo degli dei” e di evitare che si cementifichi nello stomaco. Il disgà¶rg è la novità  di quest’anno. Abbiamo passato circa mezzora nella spiegazione del suddetto meccanismo e un’altra mezzora a bere per dimostrare di saperlo mettere in atto.
Il trucco, quando si mangia, è quello di assumere piccole porzioni. Il famoso “bis” viene effettuato per ben più di due volte. Tutti mangiano soddisfatti. Il pranzo è accompagnato da bevute di dimensioni ciclopiche, e contornato da discorsi di ogni tipo. Dalla politica (che però viene affrontata en passant e senza nevrosi), al mal di testa permamente della zia Rosalba, alle rispettive prese in giro delle paranoie soggettive. Purtroppo, nonostante partecipi da ormai ventiquattro anni al Giorno della Cazzöla, non posso effettuare un resoconto obiettivo e fedele del pranzo, perché dopo poco tempo la mente di tutti (compresa quella della sottoscritta) è annebbiata, confusa, e le immagini, i suoni, i volti, si mescolano in un tutto indistinto.
Quello che posso dire è che da un contesto di composta quasi-serietà  si arriva ad un baccanale forsennato, pieno di gente che parla contemporaneamente, con bottiglie (e bottiglioni) di vino che finiscono in un istante e cibo letteralmente spazzolato via dai piatti.
Ovviamente il pranzo si protrae inevitabilmente fino alle cinque del pomeriggio. Dopo sei litri di caffè a testa per tornare padroni di sé, ci si comincia ad alzare e ci si rende conto che forse è ora di terminare questa giornata annuale dedicata ai cavoli e al maiale, ma forse anche un po’ allo stare insieme e al ritrovarsi. E, soprattutto, al bere in Famiglia.

Per noi il Giorno della Cazzöla annuale è una festa come la Pasqua: non cade mai uguale, ma arriva di sicuro ogni anno.
Grazie alla Madre perché tiene le redini di tutto e di tutti.
Grazie al Padre perché rompe le balle come solo lui sa.
Un saluto tutta la Famiglia.

Natura domestica

Non ho trovato tempo per raccontarlo prima, ma domenica mi sono infilata in giardino e mi sono immersa negli alberi, a raccogliere frutti di stagione. Non posso raccontare a parole, sarebbe riduttivo.
Posso solo mostrare questa “Natura domestica” come si è mostrata a me.
Limpida, nitida e fresca, inaspettatamente mattutina.

glicine_small cachi_small kiwi_small uva_small

Test incoraggiante

Ecco, adoro i test.
Quello di Dr. Psyco mi ha dato questo risultato…

vale_all_antica

Il Dr.Psycho dice che sono un po’ all’antica. E aggiunge: “Le ragazze serie non ci sono piu’, toccano il sedere dandoti del tu.
Pero’, cristo, che palle che sei.”

Ora sì che mi sento motivata e che la mia autostima è schizzata alle stelle. Provate, magari a voi va meglio…