Mi sento a Macondo, stanotte.
Se riesco a escludere mentalmente il computer, i muri della nostra casa al secondo piano, tutti i miei oggetti, il letto e questa solitudine, stanotte mi sento a Macondo. E’ colpa della pioggia sul tetto, che non smette da quando sono tornata a casa. E’ colpa dello stato polveroso e indolente in cui versa il mio cuore in questo periodo, tutto concentrato su cose insignificanti, sempre più miope nei confronti della vita, a volte, mi sembra.
Il problema vero della pioggia è questo viverla a metà : cerchiamo in tutti i modi di starle alla larga, ci rintaniamo al coperto, ci togliamo subito i vestiti umidi e le scarpe infangate, ci lamentiamo come solo i migliori vecchi sanno fare che Questa primavera è veramente anomala, quando poi sicuramente sarà uguale identica a tutte le altre ottanta (se ci va bene) della nostra vita.
La verità è che non sono affatto a Macondo, ma sono sempre qui, a Cardano al Cazzo e la verità ancora più vera è che l’unica cosa che mi resta da fare ora è cominciare a scavare. Perché quando tutto va bene, quando la persona che mia sta bene ed è felice, quando un lavoro ce l’hai e ti piace, quando le tue sorelle crescono e non se la cavano poi così male, quando riesci anche a svegliarti la mattina e a pensare che non è poi tutto così uno schifo, ecco allora dovresti tirare un respiro di sollievo. Dovresti metterti lì e dire Meno male ed essere felice e gioire, magari. Invece cosa faccio, io? Cosa faccio? L’unica cosa che so fare: smetto di dormire. E’ matematico. E’ diventata, con gli anni, la mia certezza. A un certo punto, non dormo. E, anche se non sono a Macondo, questa cosa mi piace da matti, perché dopo le prime notti in cui mi sento “sbagliata” e mi dico No, Vale, dormi che se no domani poi… ecco, superato lo scoglio del “domani poi…”, mi sento di nuovo “a casa”. In questa meravigliosa dimensione di silenzio, stanze vuote, passi felpati e guardare il cielo seduta per terra.
Se fossi a Macondo uscirei per le strade del villaggio e farei qualcosa di strano, qualcosa di bizzarro e inspiegabile, per far parlare la gente, il giorno dopo, e per creare scompiglio. Se fossi a Macondo, magari, passerei queste notti insonni a costruire cose, o farei un lungo viaggio per tornare portando merce rarissima da vendere al mercato. O mi travestirei da ragazzo, pur essendo una ragazza, e mi imbarcherei per mare, con le gambe a penzoloni dalla prua della nave, e vedrei porti lontani, prenderei qualche strana malattia, conoscerei l’amore e tornerei a casa con un figlio.
Forse a Macondo lei avrebbe potuto essere felice. Forse avrebbe fatto quello che voleva e non quello che gli altri si aspettavano. Avrebbe comunque fatto tre figli, cucinato, subito ingiustizie, perpetrato tradizioni familiari assurde e preziose, ma senza quella sfumatura di sbagliato che le vedo ogni giorno in volto, senza quel velo di malinconia per aver guardato il mondo con un occhio solo. E, per una volta, non sto parlando di me. Peccato che non si possa vivere in un libro. Perché anche se c’è fame e povertà , incesti e malattie, anche se ci sono nomi tutti uguali e nonni che sembrano nipoti, c’è anche un senso, c’è anche uno schema, niente è lasciato al caso, ogni personaggio, ogni evento, ogni parola, addirittura le virgole hanno un senso e sanno qual è il loro posto nel mondo.
Noi invece cresciamo con tutti questi sogni – i nostri – e veniamo caricati di tutti questi altri sogni – quelli dei nostri genitori, se sono vivi, o quelle delle loro possibili vite, se sono morti – che non solo non si avvereranno mai, ma che ci illudono anche che potrebbe esserci un ordine. Nelle vicende, nelle emozioni, negli oggetti nelle stanze. Invece non c’è nessun ordine, non c’è nessun equilibrio. Io lo accetto, ma per chi ancora sogna che almeno io ce la faccia, è dura. Orgogliosa di me? Ci prova, ci provano, ma non è facile quando invece di fare passi avanti facciamo solo passi indietro.
Per questo faccio finta di essere a Macondo, stanotte. Perché lì non si deve dimostrare niente a nessuno, ma soprattutto – e questa è la ragione vera – perché vivere lì è come avere sempre un piede fuori dalla porta, essere pronti a calcare una strada polverosa nel mezzo del mezzogiorno per prendere un treno a vapore che ti porterà .
Spero di trovarmi un po’ di Macondo, nel cuore. Ne ho bisogno.