Non sono morta…

… ma per coronare una degnissima settimana di sfiga, martedì mi sono ammalata e sono a letto (letteralmente) da allora.

Giacomo è venuto in soccorso, altrimenti non so come sarebbe andata a finire.
Intanto cerco di riposarmi e di sgomberare la mente, per tornare ad essere produttiva per la nostra meravigliosa società  italiana al più presto…
Forse, però, è anche questo che non mi fa guarire… E’ alquanto stressante pensare sempre che non si sta facendo abbastanza.

Ma passerà . E sarò felice.
Domani.

Oggi è il mio compleanno

Oggi è il mio compleanno.
Oggi posso fare quello che mi pare, tutti sono al mio servizio e nessuno può contraddirmi.
Oggi devo ricevere regali, mangiare qualcosa di buono che mi viene gentilmente offerto, riposarmi, delegare tutte le cose che non ho voglia di fare dicendo: “Oggi è il mio compleanno”.

La cosa assurda, di tutto questo, è che la gente sta al gioco. Tutti mi assecondano e, se mi contraddicono anche solo per un istante, poi dicono, smarriti: “No, oggi è il tuo compleanno, hai ragione tu!”

Oggi, ad esempio, c’è il cielo azzurro come piace a me, non ci sono nuvole ma non fa nemmeno troppo caldo. Oggi io e te ci siamo svegliati tardissimo e abbiamo fatto colazione sulla terrazza, proprio perché è il mio compleanno. Oggi faremo qualcosa di speciale, come scrivere una storia o inventare un mondo. Chiacchereremo, sorrideremo, dormiremo felici, perché è il mio compleanno.
Solo che poi mi accorgo che non è vero: che tutte queste cose gentili e belle e confortevoli non succedono solo nel giorno del mio compleanno. Succedono sempre, tutte le mattine. E non è che “succedono”: tu le fai succedere. E le fai succedere a noi due.
Quando ci svegliamo e facciamo colazione insieme. Quando passiamo i fine settimana a inventare mondi, insieme. Quando viviamo insieme e viaggiamo e vediamo il mondo. Quando andiamo al cinema o leggiamo un libro, quando sono triste e mi fai ridere, quando ho paura del futuro e mi dici che andrà  tutto bene.
O quando le persone sono gentili con me, e mi offrono cene, e mi fanno divertire e mi aiutano. Quando i miei sono pazienti, quando mi trattano ancora come una bambina, ma solo per le cose per cui mi fa piacere. O quando mia sorella Giulia compensa la mia natura incasinata. E mi ricorda che siamo molto uguali, in fondo. O quando la Roby mi fa un disengo. O anche solo si ricorda di farmi gli auguri, dopo un anno le la ossessiono, perché deve ricordarsi che Oggi è il mio compleanno.

Oggi compio 28 anni e secondo qualche strana filosofia orientale ogni 7 anni ci si rigenera completamente, le cellule del corpo muiono tutte, nel giro di sette anni, quindi in effetti si può dire che io sono una persona completamente nuova. Poi però mi rendo conto che non sono le cellule, invisibili e magari sempre uguali, che ti fanno una persona nuova: sono le cose che fai, come ti comporti, i segni che lasci.
Negli ultimi tempi ho lavorato tanto (forse troppo), ho sempre rimandato piccoli viaggi per andare a trovare persone, ho sempre dato per scontato tanta della felicità  che ho. Visto che Oggi è il mio compleanno e che compio non degli anni a caso, ma 28, non voglio che questo sia il giorno dei buoni propositi, ma voglio solo dire a tutti quelli che mi restano vicini nonostante il mio caratteraccio, nonostante il mio essere testarda ed estrema, con poco tatto e magari proprio stronza a volte, un po’ buzzica e un po’ mitteleuropea, ecco, voglio dire a tutti grazie perché mi volete bene, e sì, si capisce che me ne volete e sì, per favore, continuate ad essere pazienti, continuiamo a starci vicino, perché ci sono poche cose che contano in questo strano sprazzo di luce che è la vita, e visto che abbiamo la data di scadenza impressa all’interno del cranio, è meglio capirsi, e sopportarsi, e volersi bene.

“L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà ; se ce n’è uno, è quello che è già  qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.”

Estate. Ma ho 28 anni.

Visto che io non ho avuto il privilegio di desiderare di salvare i bimbi dell’Africa, mi ritrovo nello stesso posto in cui sono cresciuta, con tante cose da fare ma anche con una strana sensazione di inadeguatezza. La solita, in effetti, ma non voglio parlare di questo.
A che punto sono arrivata? Perché mi sento in dovere di tirare delle somme, oggi, 30 giugno, metà  inesatta del mio ventottesimo anno di vita?
Mi sento un passo indietro, un passo indietro a dove dovrei essere, sempre. Anche oggi, in effetti.
Però sono innamorata, ancora, ho due bei lavori che mi riempiono le giornate e le notti, ho una casa gialle blu in cui crescono tutte le piante che voglio, ho pile di libri ammonticchiate ovunque e passo il mio tempo libero lontana dai centri commerciali e immersa in progetti e idee con persone che mi piacciono.
Forse invece che liquidare così brevemente la lista dei miei achievement, dei miei successi, delle mie vittorie di Pirro, dovrei soffermarmi di più, narcisisticamente, a contemplare quello che una quasi ventottenne ha raggiunto col sudore della propria fronte, trovandosi nel posto giusto al momento giusto e facendo leva sul fatto che sembra molto più acuta e intelligente di quanto in realtà  non sia.

Io non tremo. E’ solo un po’ di me che se ne va.
Non è tutto così negativo, Valentina.
Stai male perché ti piace così, Vale.
Non c’è niente che non va nella tua vita.
Ho un Moleskine pieno di queste frasi, nonché un’infinita cronologia di conversazioni su Messenger e conversazioni live o al telefono, lettere scritte sui treni piene di buone intenzioni, consolazioni, amici arrabbiati che non ce la fanno più e mia madre che vuole che mi compri un vestito per un matrimonio.
E’ tutto così perfetto.
Schifosamente perfetto.
Perché non è nemmeno perfetto, è come gli oggetti sparsi alla rinfusa sui tavoli delle case delle riviste di arredamento: fanno così vita vissuta, ma sono la cosa più finta di tutte. Io sono un oggetto sparso alla rinfusa. Sono l’eccezione all’istanza d’ordine che rende tutto più ordinato. Sono l’elemento nella casella che sborda un po’, quel poco che basta a farlo apparire ribelle ma che non disturba la composizione.

E cancello il tuo nome dalla mia facciata.
E confondo i miei alibi e le tue ragioni.
I miei alibi e le tue ragioni.
Vai vai. No ma vai pure ad aiutare i negri dell’Africa, tanto qui stiamo bene. Abbiamo i cellulari. Abbiamo la benzina a un euro e sessanta. Abbiamo Sky. Ancora i tuoi quattro assi, bada bene di un colore solo, li puoi nascondere o giocare come vuoi. Il resto è fumo, perché eravamo amici, una volta, eravamo amici per la pelle, e poi sei partito, e ora cosa succede? Cosa? Che noi restiamo qui a cercare di auto-determinarci, a fare Dio mentre tu lo insegni a gente semplice, che parla solo la sua lingua e non le nostre, è tutto quel che ho di te ora, tanta rabbia e una casa vuota.
E dei pezzi di vetro. Con due anime. Una luna. Dei fuochi alle spalle. Un angolo retto e una stella.
Bello vero? Romantico? Un altro degli ultimi eroi romantici che abbiamo. Ti sposi,e poi te ne vai. Ma come fai, come hai fatto a lasciarci qui, dovevamo farlo insieme o no? Dovevamo cambiarlo insieme questo mondo, invece no, ognuno per sé, e cerchiamo di tirare i remi in barca che, signora mia, non si sa più come vestirsi.
Ferirsi è possibile, morire anche, e sicuramente da soli non siamo più al sicuro. Ma è questo che mi rode, è questo che mi fa male e che mi fa odiare le tue scelte stupide e il tuo egoismo che non so avere, che alla fine invidio. Partire e andare dove? A costruire qualcosa che vedremo? A piangere e ridere di qualcosa che possiamo toccare?

E’ questo il punto: odio i miei desideri, perché non sono facili come i tuoi.
Non sono nobili, lastricati di buone intenzioni e tangibili come i tuoi.
Quindi è qualcosa qua dentro, è qualcosa che malfunziona qui, perché è come ordinare sempre il cibo sbagliato quando vai al ristorante, è essere sempre scontenti di quello che si ha, è la solitudine di fare scelte che gli altri non capiscono. Ancora peggio, è la solitudine di fare scelte difficili che agli altri sembrano scontate. Facili. Insignificanti.
Hanno ammazzato Pablo. Pablo è vivo.
Evaporata in una nuvola rossa, in una delle molte feritoie della notte, è così che mi sento.
Ma stanotte non dormo, finalmente non dormo, anche se sono più stanca di voi, sono molto più stanca di voi.
E’ questo che mi amareggia, che nonostante tutto io ci credevo.
Invece mi ritrovo all’ennesima partenza, a guardare il cielo dallo stesso posto, fiduciosa che cambierò il mondo, sì, lo farò. Ma non con voi, non con te.

E il mio cielo resta lo stesso
Fra macchie di tempo trascorso.
Andate, voi, io ho il mio impero
di macerie
a cui badare.

Racconto d'inverno

“Alle dodici di questa mattina, un piccolo alito di neve si è adagiato su un cavolalbero, un vecchio tronco ciccione e rugoso delle contrade dimenticate. Ogni volta che una folletta fa un pasticcio, il gatto di corte preleva un nuovo bulbo dal vecchio albero e lo pianta aspettando che diventi un folletto. Per questo nelle contrade si usa il detto: bambini come se nevicasse.”

E allora:

“C’era una volta una bambina che non sapeva piangere né ridere. Era sempre silenziosa e grigia, come fosse di vetro sporco. Vedeva le altre persone a colori, ma non capiva le emozioni, non capiva perché tutti fossero così e lei no. E non le importava nemmeno tanto. Un giorno, però, vide un fiore secco, grigio e spento, tra tanti altri fiori colorati e pensò che lei era come quel fiore e tutta la tristezza del mondo la invase e si sentì perduta. E pianse. Tanto. Poi, lentamente, la tristezza scemò e uno strano sorriso le si dipinse in volto: ora che sapeva piangere e aveva pianto, sapeva anche ridere. E fu felice. E pianse e rise e fu colorata per il resto della sua vita.”

Buon viaggio sig. nonno di Davidone.

Conforto. E' il tempo che manca.

O ce n’è troppo, tra qui e quando ne avrò di più.
Oggi ero in casa, con una tazza di orzo caldo, davanti al computer cercando di scrivere, come sempre, e come sempre riuscendoci a stento.
Però fuori le sagome degli alberi si erano fatte scure, il sole era tramontato lasciando posto al cielo azzurro e luminoso, ma senza la violenza della luce. Sul soffitto, i miei lucernari, i nostri lucernari, facevano passare un colore azzurro cielo e sembravano due quadri semplici e perfetti.
Oppure, guardando dal tetto di un palazzo in una Milano quasi di notte, ho visto uno spicchio di luna, lì in mezzo, leggero, libero, come se sotto non ci fosse la città , ma un deserto, come se sotto non ci fosse il presente, ma il futuro.
Sto cercando di vivere fuori dal futuro anteriore, di non aspettare i ricordi per rendermi conto, sto cercando di rendermi utile, agli altri e a me stessa, e di fare quello che mi piace, rispettando per quanto possibile i miei tempi.
Sono uscita dalla metropolitana, sono tornata in superficie, e c’era vento, tutte le foglie svolazzavano come frenetiche, per andare a schiantarsi per terra, non mute, ma con un crepitio, come di fuoco.

E penso costantemente che un giorno non avrò più coscienza di nulla, che non percepirò il caldo il freddo la felicità  la noia, che tutto andrà  avanti, ma senza di me, e che non potrò più alzarmi, girarmi nel letto, sudare, giocare, ridere e pensare che quello è il momento più intenso della mia vita.
Ci penso costantemente e non riesco a immaginare come sarà , e mi gira la testa e mi scendono lacrime dagli occhi ma non sto piangendo, non sto piangendo è come se fosse un’emozione troppo forte da restare qui dentro, e allora almeno esce dagli occhi, precisamente da dove era entrata.

Forse dovrei sdrammatizzarmi.
Forse dovrei prendermi meno sul serio.
Forse ho bisogno di una vacanza (come, di già ?).

Forse, semplicemente, siete voi che non ci pensate mai, se no sareste come me, e avreste paura di affezionarvi, a volte, e avreste paura, sempre, che sia l’ultima volta per ogni cosa.

Sono una poser

Tris sul mio braccio

Sono una poser e infatti sono tornata.
Giornata campale: università , Ubisoft, tris sul braccio, canto tutto il pomeriggio Breakthru dei Queen dopo una nottata passata a bere birra e fare i tarocchi.
Arrivo nella ridente cittadina che mi ospita e mangio con i miei due “labrador pregati” al ristorante giapponese nel centro commerciale più squallor del mondo.
Torno a casa e c’è un’inaspettata reunion dei MIEI amici con la MIA famiglia.
Ma prego, fate pure.
Racconto di come al lavoro abbiano deciso che il passatempo di oggi era “Gioca a tris sul braccio della Vale”.
Sfoggio un librone di Matte Blanco che non riuscirò mai a finire.
Mostro con orgoglio la mia patta aperta (e rotta da ormai 36 ore).
Fortunatamente l’attenzione viene deviata e le pietre vengono tutte tirate ad Alice, per il basket, per la laurea e per le polpette e il tè freddo che si ostina a rifiutare quando va dai miei genitori, ferendo nel profondo mia madre e scatenando l’ira funesta di mio padre.
Padre, il quale, mi interpella sul perché il blog sia chiuso.
Il popolo tutto insorge e mi prospettano la loro triste vita, al lavoro, senza niente di sconclusionato da leggere.
Con atteggiamento timido ma gongolante chiedo ripetutamente se devo riaprire i battenti. I miei cinque lettori mi dicono di sì. Come deludere un siffatto pubblico (tra loro c’è chi studia Gli amori di Africo e Mensola, chi pilota Jet supersonici e chi sa cosa vuol dire Compos Mei).
Chi sono io per deludere tutti costoro?

Quindi, in poche parole, ri-eccoci qui.

Ah, giusto per la cronaca: la mail di “uno a caso” è “agdafd@fgajk.it”
Te l’avevo detto, papà , che con la mail avrei capito chi è!