Domani mattina ad orario antelucano partiamo dalla provincia di Pisa alla volta di Marina di Novaglie (LE), Puglia.
Torno quando torno.
Se qualcuno mi cerca sono lì.
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Mappa letteraria di New York
Una delle cose che mi piace di più, quando visito una citta è andare dove sono andati i protagonisti dei miei libri, camminare negli stessi luoghi, osservare con i miei occhi le stesse cose che lo scrittore mi ha fatto vedere nella mente. E’ come un sogno che si realizza. Si vive una realtà alternativa, si sperimentano storie ed emozioni di persone inesistenti, e poi ci si accorge che quei luoghi, che quelle cornici sono reali, esistono davvero, e allora tutto viene rievocato, tutto sembra più chiaro, più reale, più “addosso”.
La prima volta a New York mi sono commossa al laghetto di Central Park e ho pianto dall’emozione davanti agli eschimesi del Museum of Natural History, ripensando al giovane Holden e a quanto ho amato quel libro. Per un momento non sono più stata me stessa, ma sono stata Holden Caulfield, ho “sentito” come lui, mi sono impossessata dei suoi ricordi, della sua infanzia, e il suo disagio è stato il mio. Quando tornerò a New York, mi farò una full immersion in luoghi dei romanzi di Paul Auster e rivivrò il conflitto con il padre e il dolore di perdere se stessi e ritrovarsi (oppure no).
Il fatto è che non è una città qualunque. E’ speciale. Convoglia ricordi e crea strie dal nulla.
Intanto, però, per attutire un po’ la malinconia, mi perderò “in altri libri”, con questa Mappa Letteraria di Manhattan…
Volterra – Masso delle Fanciulle
Un’altra gita di primavera.
Siamo andati vicino a Volterra, a cercare il famoso Masso delle Fanciulle, lungo il fiume Cecina, a ben “venti minuti di cammino dalla civiltà ” (ce lo ripetevano tutti). Dopo essere ripetutamente passati davanti a due pattuglie di carabinieri, abbiamo trovato la strada giusta e ci siamo avventurati tra canneti e sterrati.
E’ stato un pomeriggio a dir poco bucolico, in cui le cose da ricordare sono poche ma buone.
Il profumo dell’erba tutto intorno, dell’aria fresca-calda di fine primavera.
Il colore dell’erba tutto intorno, verde nuovo, appena spuntato, del grano ancora tenero, delle migliaia di foglie appena spuntate sui rami, dei cespugli…
La musica. Trash come non mai. Ma dopotutto è meglio l’allegria della solita malinconica riflessione sulla fugacità del momento. E quindi è meglio qualche cantatina spensierata di un mattonazzo melodico di minimalismo anglo-ispanico.
Il colore azzuro e nuvole dell’aria, che sembrava depurata, ma forse era solo pura.
La compagnia che mi porta sempre in giro da queste parti e che mi fa scoprire posti e sentimenti così.
Intrichi di rami in un disordine armonioso.
Poi passeggiare senza fretta, chiacchierate di tutto, sassi e rimbalzi sull’acqua.
E infine una cena di antipasto e pizza e le discussioni sulle multinazionali dei giochi. E il conto sottocosto.
Qui ci sono un po’ di colori e di luoghi.
Ricca pensa che lo faccia per una sorta di mania del turista, ma non è così.
Lo faccio per catturare una quotidianità speciale e per tornarci quando voglio.
Quando magari le cose intorno non sono così delicatamente variopinte.
Quando magari sono sola e tutto mi sembra spento.
Allora guardo queste immagini fatte di niente e i colori mi ricordano che può essere anche così, a volte, la vita.
Lungomonte – Risveglio muscolare
Più che di risveglio dovrei parlare di resurrezione. Sì, perché mesi – anzi, anni – di inattività fisica semi-totale e di assuefazione al computer atrofizzano i muscoli. E’ un dato di fatto. Oggi ne pago (anzi, ne paghiamo, vero Natan?) le conseguenze, ma intanto ieri mi sono disintossicata da mesi di smog milanese e di Malpensa.
Da noi, quando si esce e si fa una passeggiata “dietro casa” si trovano, nell’ordine:
1- molte altre case
2- molte altre auto
3- molte altre persone
Oggi sono in Toscana. In un paese qualunque. Non un posto tipo San Gimignano o Siena. Voglio dire, di quelli “famosi”. Un posto normale, dove vive la gente.
Qui siamo usciti e dietro casa c’era questo.
Non male, no?
Milano oggi
Oggi Milano è stupenda.
C’è un sole tiepido e la gente e gli insetti e gli uccellini sono tutti usciti di casa, dalla terra, dai nidi, e girano girano girano. I tram sanno di buono, gli autobus arrivano appena ti servono e al risotrante giapponese Ume vicino a Piazza Vetra ho mangiato il miglior tonno scottato dell’ultimo mese.
Il cielo così azzurro mi fa dimenticare che ci sono cose che non vanno (come le notizie infamanti e decisamente scorrette riportate da Il Giornale riguardo la situazione del Bosco di Gioia), o persone che sono andate (Natan, torna, dai…).
Respiro piano nei giardini di Via delle Armi e poi torno a casa.
Perché non è sempre così facile? Perché non ci sono più mattinate come questa, celesti e fatte di strade perfette che ti portano ovunque?
Portami al mare, oggi.
Il pomeriggio stava per iniziare e poteva prendere due direzioni.
Un’alternativa consisteva nel restare seduti a una scrivania cercando di partorire idee e di compilare codici, facendo sforzi immani per non guardare fuori dalla finestra e per mantenere la concentrazione. Certo, le cose da fare erano ancora tante ed entrambi avevano delle scadenze pressanti. Era ragionevole che le cose andassero cosàƒ¬, se non altro perchàƒ© non c’erano mostre da vedere, non c’erano film per cui si erano “prenotati” a vicenda, non c’era niente, in quella strana sospensione autunnale. La domenica àƒ¨ un giorno pessimo, fatta di strade silenziose, gente che si accalca nei centri commerciali aperti o che fa la coda al multisala per vedere l’ultimo film horror in programmazione. No, niente da fare. Al cinema ci si va il mercoledàƒ¬, costa meno e non c’àƒ¨ nessuno. La sala tutta per sàƒ© àƒ¨ una prerogativa irrinunciabile. Peràƒ² resta comunque la domenica da affrontare, làƒ¬, fuori da quella finestra del secondo piano, e tre computer accesi su un tavolo troppo piccolo.
Lei si veste a festa, con la sua gonna nera preferita e un maglione un po’ infeltrito, ma caldo e arancione. Si mette gli stivali e si siede sul letto. Nella pausa tra una canzone e l’altra, lo guarda e gli dice:
“Portami al mare, oggi.”
Lui si gira e la guarda. Si alza e si veste.
E’ questa l’altra alternativa. Alzarsi e uscire insieme, nelle tre del pomeriggio piàƒ¹ silenziose dell’autunno, con tutta la gente chiusa in casa perchàƒ© le previsioni davano pioggia e un tiepido sole addosso.
Lei capisce che la meta saràƒ solo una parte accessoria del viaggio. E’ sempre stato cosàƒ¬, con lui. Il tragitto da un punto all’altro non àƒ¨ mai il piàƒ¹ breve, ma il piàƒ¹ adatto. E’ confortante, tutto questo. E’ confortante stare con qualcuno che ha il potere di farti passare per i posti giusti al momento giusto, che sa farti scivolare via di dosso la malincoina, che ti fa osservare il mondo fuori anche quando non hai voglia di vedere, che ha un cd di mp3 con tutti gli album dei Depeche Mode in auto e che ti dice “La musica la scegli tu, oggi.”
La strada comincia e lei neanche se ne accorge. All’inizio sono i soliti luoghi conosciuti di passaggio. Peràƒ² si inizia giàƒ da làƒ¬ a vedere cose diverse. Le montagne sono ancora verdi. Come se l’autunno non riuscisse a intaccarle. Il cielo àƒ¨ indeciso. Il sole di prima àƒ¨ affiancato da nubi bianche e grigie che si contorcono solleticate dal vento.
La strada àƒ¨ sgombra, ma lui va comunque lentamente, accarezzando le curve, scivolando sui rettilnei incorniciati dai pini marittimi, alti e zitti. Lei osserva con il paio di occhi che sfodera nelle occasioni in cui “cerco uno sguardo incontaminato sul mondo perchàƒ© la mia realtàƒ mi sta stretta.”
E comincia a vedere.
Nello specchietto dentro l’aletta parasole dell’auto vede se stessa. Il sole batte sul suo maglione arancio e contamina di passato i suoi capelli, che, partendo dalle punte, trasmutano e diventano rossi come quelli del suo mai conosciuto bisnonno.
“Oggi qualcuno rivive in me”, pensa lei distratta.
Lui guida silenzioso, senza disturbarla, senza essere turbato dal suo silenzio di riflessione, senza essere seccato dal tragitto solitario, ma in due.
Lei guarda fuori dal finestrino chiuso.
Rose rosse che crescono davanti a una tomba sul ciglio della strada.
Cima di roccia illuminata dal sole, verde scuro e buio sotto.
Alberi di Acilia, in Toscana, peràƒ².
Montagne oscurate da montagne. Di nubi.
Campi di pannocchie essiccati, lunghi piàƒ¹ di quanto lei possa scrivere.
Pensa che tra lei e la realtàƒ si frappongono sempre strani e diversi vetri opachi.
Piccoli cimiteri gialli lungo strade provinciali poco frequentate.
Giunghi che si piegano, quasi a toccarli mentre passano.
Ancora rose, stavolta che cercano di evadere dalle solite reti verdi a quadrati.
Cave di pietra abbandonate e arrugginite le ricordano gli scenari di un videogioco.
San Giuliano. Passano sopra un corso d’acqua e lei si aspetterebbe di vedere una novella Ofelia annegata. Strani pensieri per una domenica pomeriggio.
Ma in realtàƒ àƒ¨ confortante vedere posti che non pensavi esistessero, che dimentichi un attimo dopo che ci sei passato, che scompaiono dalla tua mente ma che la hanno abitata per qualche istante almeno.
E’ tutta cosàƒ¬, pensa, la vita. Abitare la mente di qualcuno per intervalli indeterminati di tempo. Poi si muore o si scompare o si litiga e resta solo un impreciso ricordo modificato da noi.
[nel frattempo i Depeche Mode cantano Judas e lei pensa di essere stata un’ignorante superficiale ad averli ignorati per cosàƒ¬ tanti anni]
Passano sotto una casa-luogo comune: una bandiera della Pace àƒ¨ issata su un lungo bastone che spunta dall’alto di un ulivo. E’ tutta lacerata e sbiadita. Vorràƒ dire qualcosa. Sempre la solita cosa.
Si fermano per un istante davanti a un’abitazione bianca con quegli infissi vecchi e stantii che sanno di pocoprezzo e di cattivogusto, quelli color ottone-simil oro, per le doppie finestre esterne, cosàƒ¬ entra meno freddo. Terrificanti. Ecco, in case cosàƒ¬ nascono e crescono i depressi cronici e i serial killer. In case con i lampadari arancioni in cucina e le piastrelle marroni. E quella casa àƒ¨ cosàƒ¬, anche se la vedono dall’esterno, anche se non si vedono i mobili, dentro, sanno che c’àƒ¨ un salotto comprato in qualche mercatone color legno scuro, con i pomelli in oro, un divano coi fiori gialli e beige e una camera da letto con la testata in ottone (stavolta ottone vero) tutta arzigogolata.
Per fortuna àƒ¨ solo la pausa di un semaforo, per fortuna ripartono silenziosi e si allontanano rapidamente da quella vita che non vorrebbero mai. Una vita terrificante e costante.
Lei prende un quaderno e scrive qualche parola. Per non dimenticare. Quando torneràƒ a casa scriveràƒ un piccolo strano racconto di questa giornata di paesaggi e le àƒ¨ appena venuto in mente l’inizio. Un inizio bellissimo, di quelli da non sprecare.
“Oggi mi ha presa e mi ha portata via.
All’inizio non voleva.
Poi, vedendomi scrivere ogni cosa che vedevo, ha pensato di regalarmi tutto un pomeriggio di paesaggi, gente, cose, luoghi.”
[mentre di Depeche ora sussurrano See you, loro passano accanto all’autostrada e lei vede una roulotte con le tendine alle finestre sotto il viadotto autostradale. Le sembra anche di vedere una luce accesa. Non puàƒ² essere. Chi vivrebbe làƒ sotto? Com’àƒ¨ possibile, senza luce nàƒ© aria e tanto, troppo fango e insetti? Non puàƒ² viverci nessuno. Ma àƒ¨ un attimo. E passano oltre.]
Il mare non àƒ¨ il solito, àƒ¨ una sorpresa. Effettivamente àƒ¨ sorprendente arrivare a Viareggio e vedere il cielo e le strade come se fossero di un altro Paese. Paese con la P maiuscola, nel senso di Inghilterra o America. Le mancano. Le rivede in ogni scorcio di paesaggio leggermente fuori dall’ordinario. Vorrebbe tornarci, ma per ora non ha tempo e poi non da sola, assolutamente non da sola.
L’ultima cosa che vede dalla macchina àƒ¨ un padre che insegna al figlio ad andare in bicicletta. La bici àƒ¨ troppo grande per tutti e due, ma il padre regge il figlio e il figlio si fida di lui. E impara, piano, a fidarsi anche di se stesso.
Dopo pochi passi fuori dalla macchina, comincia a piovere.
Ma àƒ¨ una pioggia strana. Non àƒ¨ la solita pioggia che ti fa dire “Oh no, che pomeriggio rovinato.”
No, àƒ¨ quella pioggia che infastidisce tutti, ma non loro due. E mentre inesorabili camminano sotto le gocce sempre piàƒ¹ grosse, notano che tutti stanno scappando dalla spiaggia e dal molo. E notano che piàƒ¹ camminano piàƒ¹ sono soli, lontani da tutti. E’ il paradiso. Si addentrano nella spiaggia bagnata, ma non troppo, mentre le gocce simpaticamente si diradano. Tutto intorno c’àƒ¨ la tempesta, ma loro sanno che per un po’ di tempo làƒ¬ sopra non pioveràƒ . E infatti non piove. Infatti camminano come gli Intoccabili o come due mimi o come due folletti, e si avvicinano sempre piàƒ¹ alla riva.
I loro occhi, all’unisono, osservano intorno. Spettacolo inenarrabile, impossibile imprigionarlo nelle quattro pareti di una fotografia. Forse àƒ¨ possibile ricordarlo con le parole.
Il mare. E dietro le Apuane, nere come la roccia millenaria, stagliate contro un cielo celeste, riempito da leggere nuvole color panna. Altre montagne, d’acqua stavolta, che scendono fitte e silenziose in lontananza, confuse con le nubi. Prima uno, poi due arcobaleni interi, che partono dalla cittàƒ e finiscono fuori, e racchiudono tutto, le persone, le case, le nuvole, la pioggia, anche il sole e le montagne. Sono cosàƒ¬ netti e definiti che sembrano delle proiezioni. Degli ologrammi. Non sembrano reali.
Lei dice ࢀœChe strano, gli arcobaleni sono come la maggior parte delle cose importanti della vita: bellissimi e inesistenti.ࢀ?
Lui ci pensa un attimo e risponde ࢀœNo, gli arcobaleni sono come la maggior parte delle cose importanti della vita: bisogna saperli vedere.ࢀ?
Lei ci pensa ancora. Eࢀ™ vero. E allora corre sulla spiaggia con la sua sciarpa di lana leggera e la fa sventolare e osserva la sua ombra danzante.
Un tronco secco e robusto àƒ¨ stato messo làƒ¬ apposta da qualcuno per loro. Si siedono e si riparano sotto il velo grigio di lei, che lascia entrare le gocce piàƒ¹ grosse ma che nasconde qualche bacio.
Tramonto su un tronco al limite della battigia.
Loro due soli su tutta la spiaggia perchàƒ© ࢀœPiove, mi cola il truccoࢀ? oppure ࢀœPiove, mi si arricciano i capelli.ࢀ?
Il mare.
Il mare.
Il mare.
Lei lo guarda mentre scrive qualche parola sul suo taccuino.
Abbassano lo sguardo e lei dice ࢀœGuarda le gocce di pioggia tonde nella sabbia compatta in riva al mare.ࢀ? Lui guarda e pensa che non le avrebbe notate senza di lei. Come tante altre cose.
Dopo un indefinibile lasso di tempo, di solitudine e di cielo apocalittico, il temporale arriva su di loro. Si bagnano. Ma almeno sono stati a guardare quello spettacolo di cielo irripetibile.
La cioccolata che lei beve quel pomeriggio le sembra speciale. Le sembra che sia la prima volta in cui si rende conto che il cioccolato àƒ¨ il cibo degli dei.
Tornano indietro. Tornano a casa. Lei adesso àƒ¨ tranquilla. Non si ricorda piàƒ¹ dei suoi pensieri. Sa solo che ci sono degli scarabocchi neri su un quadernetto rosso che la aiuteranno a ricordare.
Sa che il viaggio non àƒ¨ ancora del tutto finito, manca la parte conclusiva. Manca il racconto, senza il quale non esisterebbe niente. O meglio, qualcosa esisterebbe, ma solo nella loro mente, nel loro ancora impreciso ricordo. E allora scrive e riscrive.
E solo alla fine si sente soddisfatta.
Solo adesso, insomma.