Vale VS Grigio – 1 a 0

Vinco io, hai capito, brutto cielo di merda grigio balsa ammuffita.

Vinco io e finalmente uscirò a veder le stelle, e continuerò a emozionarmi per le nostre storie, e scriverò Europa, e mi mangerò tutti questi ricordi che tornano nei momenti meno opportuni e mi fanno venir bisogno di scrivere quando devo lavorare, li mangerò e resteranno dentro di me due volte, nella memoria della testa e nello stomaco dell’emozione.

Vinco io perché le stelle sono ancora là  dietro, ho capito che è solo questione di aspettare un poco, ancora un poco, e poi vinco io. O vinco io perché so già  che vincerò e quindi è come se avessi già  vinto.

In questi giorni sono impegnatissima a trasformare e trasmutare tutti i miei sentimenti: il grigio della noia diventa nero di segreti e complicità , l’ottundimento dello spirito si trasforma in sogni da interpretare, la paura diventa coraggio, l’insicurezza sbruffonaggine. Non avrò la pietra filosofale tra le mani, ma non ho nemmeno più una gerla piena di problemi inesistenti sulle spalle o di frustrazioni o di infelicità  immaginata.

Quindi, vinco io, e avrò l’eterna giovinezza, la legge morale dentro di me e il cielo stellato sopra.

E vaffanculo.

Cos’è successo a Ginevra?

Intendo, nel corso della storia. Esattamente, cos’è successo a Ginevra? Un sacco di cose, suppongo, e io le ignoro tutte, perché sono un’ignorante, nel senso, appunto, che ignoro.

Abbiamo presentato il film in lungo e in largo, qui in Italia, a diversi eventi, ma all’estero mai, questa è la prima volta che “espatriamo”, con tanto di gentile  invito, alloggio e scarrozzo a carico degli organizzatori. Sono un po’ emozionata, se non altro perché non ho idea di come sia questo festival (a cui ci hanno invitato, non siamo stati noi a presentarci, in prima battuta), di come ci accoglieranno.

Il problema più grande, in effetti, è che ho già  finito di fare la passata di pomodoro per l’inverno, quindi sarà  un problema gestire gli ipotetici pomodori che la platea ci tirerà . O magari no, ci lanciano fiori e inneggiano a un’Italia che ce la può fare, visto l’impegno di alcuni suoi figli.

Insomma, c’è dell’aspettativa e molta emozione, almeno da parte mia. Giacomo è un fatalista senz’anima che prende tutto quello che arriva con tranquillità  e posatezza. Io sono qui a casa con le mani sudate che mi alleno a distribuire biglietti da visita. Insomma, il tutto è alquanto comico, ma sono di ottimo umore, fuori c’è il sole e la cosa più bella è che domani viaggeremo in treno, il che significa relax e bei panorami dal finestrino.

Ci sentiamo al nostro ritorno, così vi faccio sapere com’è andata, se dovremo produrre litri e litri di passata con le verdure che ci avranno tirato o se potremo aprire un negozio da fiorista, grazie ai fiori ricevuti.

Se trovo una wi-fi, magari, aggiorno anche Twitter, per la prima volta in vita mia durante un evento…

Quando ho la febbre…

… sto sempre nello stesso modo. Prima mi viene da piangere e non capisco perché, è come se il mondo stesse per finire. Una sensazione netta e precisa, ma che ogni volta mi frega e mi sembra solo di essere triste.

Poi è sempre buio. Buio come le sette di sera quando stavo male da piccola e mia madre tornava tardi dal lavoro e io restavo con la nonna. Quando stavo male, guardavo tantissima TV. Più del solito. E la sera arrivava presto, troppo presto, anche alle cinque a volte, e dalle cinque alle sette era tutto così strano. Buio, nero, sembrava notte e mia mamma non c’era e io stavo male e mi sentivo un po’ sospesa, ma avevo qualcosa di preciso da aspettare, che lei con i suoi tacchi ovattati e le calze di nylon chiare, un profumo sempre uguale e il foulard di seta viola screziato tornasse e mi desse un bacio e mi facesse passare la febbre.

E poi ci sono i giganti. Quando la febbre è alta, ma alta davvero, sento come la presenza di un essere enorme, dalle mani giganti, con la barba, che mi osserva dalla porta della stanza. Sempre. E poi è anche un po’ come se ci fosse qualcosa di enorme, che però non è una persona, ma un’idea, che mi attanaglia, e non importa se mi giro sul fianco sinistro e cerco di non vederla. Lei sta sempre lì, con il suo gigantismo disagevole.

La fine del mondo. Il buio. I giganti. Questo è quello che mi accompagna quando ho la febbre.

Ora, perché ne scrivo? Perché da qualche giorno non ho la febbre, eppure mi accompagna la fine del mondo e il buio. Ogni tanto – ma solo una o due volte – anche i giganti. E io non capisco cosa significa, perché a parte il raffreddore sto bene, non ho la febbre e sono alquanto “conscia”. Però loro sono lì. Il buio, ad esempio, adesso è qui fuori dalla finestra, e mi guarda, e mi ha anche fatto dimenticare che ore sono. Mi sembra un momento eterno prima di cena, dalle 19 alle 20, in cui sono in camera e aspetto.

O la fine del mondo. La fine del mondo è qui, hanno ragione quei predicatori pazzi che a L.A. se ne stanno con un cartello in mano ai bordi delle strade ad avvertire tutti. Loro hanno capito, hanno capito che il mondo è finito. Certo, il pacco è che non sanno come spiegarlo. Anche io, ad esempio, me ne sto qui al margine di una strada virtuale a gridare continuamente che moriremo tutti, che il mondo è finito, che l’apocalisse è vicina, e però non è che so spiegare esattamente perché. Quindi forse mi prendono per pazza. Non che mi interessi un granché.

Sarà  forse per colpa dei giganti. Queste presenze che sembrano protettrici e che invece forse sono cannibali, che aspettano un minuto in più che tu abbassi la guardia, che la febbre salga di un grado, che la forza diminuisca di un joule, per aggredirti e strapparti anche la pelle, dopo che ti hanno tolto tutto quello che avevi intorno. Non so se sono davvero cattivi, i giganti, so però che sono lì che mi guardano da sempre, e non so che farci con loro, perché almeno fossero un qualcosa da combattere, imbraccerei le armi e saprei cosa fare, invece sono lì zitti, e magari sei tu che ti sbagli, magari la stronza sei tu che pensi sempre male. E quindi non fai niente. Niente di niente. Il peggio.

Forse sto impazzendo sul serio. Forse la mia mente si è stancata di aspettarmi e si sta psicanalizzando da sola, come può.

Mi chiamo Valentina e sono incatenata alla mia roccia di Prometeo da tre cose: la fine del mondo. Il buio. E i giganti.

Autunno

E io ho voglia di poesia più che mai.

Come in primavera. Più che in primavera.

Ho voglia di poesia, di Chopin e delle foglie dei viali. Viali di ippocastani.

Che poi, sono tutti la stessa cosa.

Dammi il mio giorno (S. Quasimodo)

“Dammi il mio giorno;
ch’io mi cerchi ancora
un volto d’anni sopito
che un cavo d’acque
riporti in trasparenza,
e ch’io pianga amore di me stesso.

Ti cammino sul cuore,
ed è un trovarsi d’astri
in arcipelaghi insonni,
notte, fraterni a me
fossile emerso da uno stanco flutto;

un incurvarsi d’orbite segrete
dove siamo fitti

Foglie morte (N. Hikmet)

“Veder cadere le foglie mi lacera dentro
soprattutto le foglie dei viali
Soprattutto se sono ippocastani
soprattutto se passano dei bimbi
soprattutto se il cielo è sereno
soprattutto se ho avuto,quel giorno,
una buona notizia
soprattutto se il cuore,quel giorno,
non mi fa male
soprattutto se credo,quel giorno,
che quella che amo mi ami
soprattutto se quel giorno
mi sento d’accordo
con gli uomini e con me stesso.
Veder cadere le foglie mi lacera dentro
soprattutto le foglie dei viali
dei viali d’ippocastani.”

Dualismo (A. Boito)

“Son luce ed ombra; angelica

farfalla o verme immondo

sono un caduto cherubo

dannato a errar sul mondo,

o un demone che sale,

affaticando l’ale,

verso un lontano ciel.

Ecco perché nell’intime

cogitazioni io sento

la bestemmia dell’angelo

che irride al suo tormento,

o l’umile orazione

dell’esule dimone

che riede a Dio,  fedel.

Ecco perché m’affascina

l’ebbrezza di due canti,

ecco perché mi lacera

l’angoscia di due pianti,

ecco perché il sorriso

che mi contorce il viso

o che m’allarga il cuor.

Ecco perché la torbida

ridda de’ miei pensieri,

or mansueti e rosei,

or violenti e neri;

ecco perché con tetro

tedio, avvincendo il metro

de’ carmi animator.

O creature fragili

dal genio onnipossente!

Forse noi siamo l’homunculus

d’ un chimico demente,

forse di fango e foco

per ozioso gioco

un buio Iddio ci fe’.

E ci scagliò sull’umida

gleba che c’incatena,

poi dal suo ciel guatandoci

rise alla pazza scena

e un dì a distrar la noia

della sua lunga gioia

ci schiaccerà  col pie’.

E noi viviam, famelci

di fede o d’altri inganni,

rigirando il rosario

monotono degli anni,

dove ogni gemma brilla

di pianto, acerba stilla

fatta d’acerbo duol.

Talor, se sono il demone

redento che s’india,

sento dall’alma effondersi

una speranza pia

e sul mio buio viso

del gaio paradiso

mi fulgureggia il sol.

L’illusion-libellula

che bacia i fiorellini,

-l’illusion-scoiattolo

che danza in cima i pini,

-l’illusion-fanciulla

che trama e si trastulla

colle fibre del cor,

viene ancora a

sorridermi

nei dì più mesti e soli

e mi sospinge l’anima

ai canti, ai carmi, ai voli;

e a turbinar m’attira

nella profonda spira

dell’estro ideator.

E sogno un’Arte eterea

che forse in cielo ha norma,

franca dai rudi vincoli

del metro e della forma,

piena dell’Ideale

che mi fa batter l’ale

e che seguir non so.

Ma poi, se avvien che l’angelo

fiaccato si ridesti,

i santi sogni fuggono

impauriti e mesti;

allor, davanti al raggio

del mutato miraggio,

quasi rapito, sto:

e sogno allor la magica

Circe col suo corteo

d’alci e di pardi, attoniti

nel loro incanto reo.

E il cielo, altezza impervia,

derido e di protervia

mi pasco e di velen.

E sogno un’Arte reproba

che smaga il mio pensiero

dietro le basse immagini

d’un ver che mente al Vero

e in aspro carme immerso

sulle mie labbra il verso

bestemmiando vien.

Questa è la vita! L’ebete

vita che c’innamora,

lenta che pare un secolo,

breve che pare un’ora;

un agitarsi alterno

fra paradiso e inferno

che non s’accheta più!

Come istrion, su cupida

plebe di rischio ingorda,

fa pompa d’equilibrio

sovra una tesa corda,

tal è l’uman, librato

fra un sogno di peccato

e un sogno di virtù.”

E buonanotte al secchio, anche.

I film, la casa in campagna e il karma…

Siamo in “ritiro forzato” nella casa di campagna veneta, che va presidiata finché i legittimi proprietari sono in vacanza.

Ora, se c’è un posto dove mi piacerebbe avere gli arresti domiciliari, prima o poi, è questo. Centinaia di metri (no, non è un’esagerazione) di giardino/parco con animali notturni e diurni, alberi di ogni sorta e rumori che risvegliano la bambina che è in me (facile, a dire il vero).

Mura di pietra, soffitti di legno, stanze diverse, ognuna con un colore, un odore e uno stile caratteristico.

Silenzio. Letti comodi. Divani ancora più comodi. Silenzio e fruscio delle foglie sugli alberi, o gorgogliare della canaletta per l’irrigazione, qui accanto. Sembra un relais in Toscana, di quelli dove si va a guarire dall’esaurimento nervoso. E invece è semplicemente la casa dei genitori di Giacomo, che si sono fidati (non è la prima volta, a dire il vero) e ce l’hanno lasciata in custodia per una ventina di giorni.

Non ci poteva essere posto migliore, allora, per organizzare la sessione più intensa mai realizzata finora di “brainstorming” sceneggiaturiale per i nostri progetti filmici e non, con Giacomo, ovviamente, ma anche con l’indispensabile Neme.

Abbiamo visitato due miniere, inventato una storia nuova, sistemato un soggetto vecchio, riflettuto su una storia altrui, chiacchierato, riso e guardato filmacci. Il tutto accompagnato da buon cibo, ottimo prosecco e qualche birra occasionale.

Da domani si ricomincia a lavorare, chi in ufficio, chi sulle traduzioni, chi su filmati vari ed eventuali, ma non si può dire che questa prima settimana in campagna ci abbia dato pochi frutti. Anche se l’orto è lontano (e anzi, presto vi mostrerò che razza di selva siamo riusciti a coltivare, in due e quasi totalmente inesperti), il karma ci ha voluto ricompensare con un piccolo, grande regalo.

Si chiama Cagliostro, detto anche Patacca, mi è corso in braccio nella strada sterrata dietro casa, mentre facevamo una passeggiata, venerdì pomeriggio, per schiarirci le idee e rimettere in moto le gambe.

Se qualcuno lo ha abbandonato, verrà  inserito nel dizionario come riferimento per la parola “pirla supremo”.

Se si è perso, non gli dispiace restare qui perché non lo teniamo chiuso in casa, anzi, scorrazza nel giardino liberamente e ogni mattina è felice di vederci e di bere un po’ di latte di capra.

Spero tanto resti qui, perché è un piccolo ricordo di questa bella settimana e della nostra presenza in questa casa.

Benvenuto, Cagliostro!

Shutter Island e MoS

Shutter Island mi è piaciuto. Purtroppo, ultimamente la mia vita sembra essere “funestata” da intuizioni tanto geniali quanto fastidiose che riguardano i finali delle cose che sto leggendo o facendo o vedendo o giocando. Di questo film mi è piaciuta l’ambientazione (un manicomio, su un’isola), i personaggi (vari quanto più si può sperare), il finale (anche se l’ho intuito credo al minuto 4, quando il protagonista dice “Non trovo le mie sigarette”) e la compagnia con cui l’ho visto (Gian sei la miglior MILF del mondo).

Quello che non mi è piaciuto è il doppiatore di Leonardo di Caprio, cane quasi quanto solo quello di John Cusack, la tipa cerebrolesa nella fila dietro che continuava a far battute insignificanti, infastidendo peraltro anche il ragazzo con cui stava, che sperava forse di ottenere qualcosa a fine serata e che dopo il film ha deciso che una sega era meglio e poi basta, direi.

Siamo andati a vedere questo film perché beh, era Scorsese, ma anche perché la trama letta qua e là  ci faceva temere in un “plagio” involontario di una nostra idea per il progetto su cui Hive comincerà  a lavorare ad Aprile. Per fortuna era solo un altro bel film e non il NOSTRO film (anche perché se no, sai che sfiga?). Quello che mi piace è l’intramontabile fascino della psicologia, della mente umana, il fatto che Freud e Jung non sono affatto morti e che anzi, sebbene sicuramente clinicamente superate, le loro teorizzazioni sono ormai entrate nell’immaginario collettivo e, esattamente come accade per la fisiognomica, scienza ormai declassata a follia, ci forniscono infiniti spunti per raccontare storie, per giocare con gli stereotipi (o, forse meglio, con gli archetipi) e per continuare a inorridire e a terrorizzarci davanti agli abusi fisici e psicologici a cui possiamo sottoporre la mente umana. Inquietantemente adorabile, direi.

Quindi sì, Shutter Island lo consiglio vivamente, ma consiglio vivamente anche di stare all’erta, perché qualcosa si sta ricominciando a muovere, qui, e presto la squadra tutta sarà  richiamata “alle armi da presa” per cominciare a lavorare sul nuovo progetto, che in codice chiameremo solo MoS, per ora…
Questa volta il diario di produzione (e pre-produzione e post-produzione) sarà  decisamente ricco quindi… Se siete curiosi di scoprire su cosa lavora Hive, curiosate e teneteci d’occhio!