Il primo “racconto” di Malinconie Urbane è ambientato alla fermata della metro milanese Gioia. Ho scoperto solo dopo che Gioia era il cognome di Melchiorre Gioia, probabilmente uno dei tre Re Magi, ma non ne sono sicura.
Di gioioso Gioia non ha un bel niente. E’ una grigia strada centrale della città , piena di smog, semafori e auto. Rumori, clacson, confusione molesta, pochi negozi e squallidi, enormi cartelloni pubblicitari in stile 1984 di Orwell, messi a bella posta per inculcare nei pendolari e nei passanti inebetiti cosa è meglio e cosa comprare.
Di gioioso a Gioia non c’è niente, tranne una cosa, che fra poco non ci sarà più, ma che ora ancora c’è, ed è stupenda: un enorme giardino pieno di alberi secolari, con un vivaio riccamente popolato da piante di ogni specie, una specie di oasi nello squallore di quel centro milanese così basso borghese e lontano dall’idea platonica della Milano da Bere che tutti hanno. Beh, sono mesi che se ne parla, sono mesi che molte persone si impegnano e cercano di far cambiare il folle piano di “recupero dell’area” ideato dalle menti malate a capo della Regione Lombardia, ne ho parlato io, ne ha parlato Beppe Grillo, ne hanno parlato i giornali, ma niente. Se hanno deciso di farci un palazzo, il palazzo ci faranno. Infatti i lavori sono cominciati, senza che nessuno abbia potuto o possa farci nulla.
Ora, non voglio scrivere l’ennesimo articolo di denuncia, ma voglio scrivere di sensazioni, di tristezza e anche di un colpo di fortuna.
Per il primo racconto di Malinconie Urbane, dicevo, avevamo bisogno di fotografie dell’interno del Bosco per ambientarci una parte della narrazione. Ci siamo purtroppo svegliati tardi, perché ad aprile, quando io e Natan abbiamo provato a entrare nel giardino (con tanto di cavalletto e macchina fotografica), ci hanno detto chiaramente che nessuno avrebbe più potuto mettere piede lì dentro fino alla fine dei lavori (leggi: fino alla totale rimozione degli alberi e alla fatidica colata di cemento).
In questi mesi abbiamo fatto altro, portando avanti altre parti del progetto. Ma in questi giorni ci stavamo chiedendo a che punto fossero i lavori. E i lavori sono iniziati, purtroppo. Lunedì ci siamo avventurati nel gioioso grigio di Gioia con l’intenzione di spiare da fuori quanto accadeva nel Bosco. Il cancello principale però era apero. E dentro, oltre a un inizio di spianata e di cemento, c’erano tre operai e, alle loro spalle, il Bosco, ritratto e timoroso, in attesa di farsi abbattere.
E’ che non ho resistito. E come se fosse un mio diritto, come se quel parco fosse davvero ancora di tutti, mi sono avvicinata e ho chiesto: “Vorrei fare quattro passi nel giardino, posso?”
Gli ometti non dovevano sapere nulla della questione dei mesi passati, perché pur vedendomi con la macchina fotografica in mano, mi hanno lasciato passare senza problemi. Anzi, ci hanno lasciato passare. E allora ci siamo buttati tra le braccia di questo piccolo gigante verde condannato a morte da gente senza lungimiranza, senza sensibilità , senza onore. Le piante secolari che loro dicono malate stanno in realtà benissimo. Sono sane, sono vive, e stanno piangendo. Piangono perché stanno per morire e lo sanno, lo intuiscono, credo.
Insomma, ci siamo avventurati tra i “Dead Trees Standing” e abbiamo osservato gli sprazzi di verde, le lacrime di rosso, le foglie morte gialle, ancora attaccate con fierezza ai loro rami. E poi tutti quei rumori, quegli odori, le foglie sotto i piedi, la terra umida, la clorofilla ovunque, i tronchi…
E’ stata una passeggiata lunga, di quasi un’ora, piena di tristezza e di angoscia. Era come parlare un’ultima volta con un malato terminale. Sai che non ci sarà una prossima volta, e cerchi di assaporare il più possibile di quel momento.
Ci siamo sentiti privilegiati, io e Natan, per aver potuto camminare un po’ in un Bosco condannato a morte.
Ce ne siamo andati senza essere notati, aprendo e richiudendo alle nostre spalle il pesante cancello di ferro. Se non fossimo capitati lì per caso, in quel giorno, a quell’ora della mattina, non avremmo mai visto il Bosco di Gioia con i nostri occhi. Mai, perché tra poco scomparirà .
Il pensiero che queste ultime (?) foto del Bosco di Gioia contribuiranno, insieme a quelle degli altri, a mantenerne viva la memoria non mi consola più di tanto.
Ma almeno ora so che in Gioia Chimica ci sarà anche il Bosco di Gioia. E che sarà un modo per non dimenticare un luogo magico vittima dell’amministrazione di un inutile Semprevergine. Se solo chi sta permettendo tutto questo capisse che c’è vita anche nell’immobilità silente, e non solo nella forsennata frenesia tipicamente milanese, forse le cose cambierebbero. Ma la classe dirigente deve essere ottusa per contratto.
Ecco le (forse) ultime foto che ritraggono il giardino… Non ci resta che rifugiarci nel sogno.