Dualismo (Arrigo Boito, scapigliato)

Son luce ed ombra; angelica
farfalla o verme immondo
sono un caduto cherubo
dannato a errar sul mondo,
o un demone che sale,
affaticando l’ale,
verso un lontano ciel.

Ecco perché nell’intime
cogitazioni io sento
la bestemmia dell’angelo
che irride al suo tormento,
o l’umile orazione
dell’esule dimone
che riede a Dio, fedel.

Ecco perché m’affascina
l’ebbrezza di due canti,
ecco perché mi lacera
l’angoscia di due pianti,
ecco perché il sorriso
che mi contorce il viso
o che m’allarga il cuor.

Ecco perché la torbida
ridda de’ miei pensieri,
or mansueti e rosei,
or violenti e neri;
ecco perché con tetro
tedio, avvincendo il metro
de’ carmi animator.

O creature fragili
dal genio onnipossente!
Forse noi siamo l’homunculus
d’ un chimico demente,
forse di fango e foco
per ozioso gioco
un buio Iddio ci fe’.

E ci scagliò sull’umida
gleba che c’incatena,
poi dal suo ciel guatandoci
rise alla pazza scena
e un dì a distrar la noia
della sua lunga gioia
ci schiaccerà  col pie’.

E noi viviam, famelci
di fede o d’altri inganni,
rigirando il rosario
monotono degli anni,
dove ogni gemma brilla
di pianto, acerba stilla
fatta d’acerbo duol.

Talor, se sono il demone
redento che s’india,
sento dall’alma effondersi
una speranza pia
e sul mio buio viso
del gaio paradiso
mi fulgureggia il sol.

L’illusion-libellula
che bacia i fiorellini,
-l’illusion-scoiattolo
che danza in cima i pini,
-l’illusion-fanciulla
che trama e si trastulla
colle fibre del cor,

viene ancora a
sorridermi
nei dì più mesti e soli
e mi sospinge l’anima
ai canti, ai carmi, ai voli;
e a turbinar m’attira
nella profonda spira
dell’estro ideator.

E sogno un’Arte eterea
che forse in cielo ha norma,
franca dai rudi vincoli
del metro e della forma,
piena dell’Ideale
che mi fa batter l’ale
e che seguir non so.

Ma poi, se avvien che l’angelo
fiaccato si ridesti,
i santi sogni fuggono
impauriti e mesti;
allor, davanti al raggio
del mutato miraggio,
quasi rapito, sto:

e sogno allor la magica
Circe col suo corteo
d’alci e di pardi, attoniti
nel loro incanto reo.
E il cielo, altezza impervia,
derido e di protervia
mi pasco e di velen.

E sogno un’Arte reproba
che smaga il mio pensiero
dietro le basse immagini
d’un ver che mente al Vero
e in aspro carme immerso
sulle mie labbra il verso
bestemmiando vien.

Questa è la vita! L’ebete
vita che c’innamora,
lenta che pare un secolo,
breve che pare un’ora;
un agitarsi alterno
fra paradiso e inferno
che non s’accheta più!

Come istrion, su cupida
plebe di rischio ingorda,
fa pompa d’equilibrio
sovra una tesa corda,
tal è l’uman, librato
fra un sogno di peccato
e un sogno di virtù.

Perché adoro Mrs Dalloway

Quando ho impacchettato tutti i libri, per questo “trasloco lungo” a cui ci stiamo sottoponendo, ne ho lasciati fuori un po’, non tanti, ma i più significativi.
Uno è, ovviamente, Mrs Dalloway, di Virginia Woolf.
Ovviamente perché se no non sarei qui a scriverci un post sopra.
Ovviamente perché non passa giorno che non mi senta come Clarissa, per qualcosa almeno.
So sempre dov’è questo libro. Non che lo conosca così bene, poi. L’ho letto un paio di volte e ogni tanto lo apro per vedere dove capito, cosa c’è, chi c’è e cosa succede, come se fosse un mondo che esiste sempre, e io accedo, come un Dio, a un istante scelto a caso.
Ogni volta so che l’istante che scelgo sarà  perfetto per me, che rispecchierà  il mio stato d’animo, che mi farà  allontanare da tutto, per poi tornare qui con un’altra consapevolezza.

Stasera è la volta di…

“Anything, any explosion, any horror was better than people wandering aimlessly, standing in a bunch at a corner like Ellie Henderson, not even caring to hold themselves upright.”

E poi, qualche pagina dopo…

“Death was defiance. Death was an attempt to communicate, people feeling the impossibility of reaching the centre which, mystically, evaded them: closeness drew apart; rapture faded; one was alone. There was an embrace in death.”

Non che mi senta particolarmente propensa al suicidio, in questo periodo, anzi. Sicuramente se dovessi descrivere la mia adolescenza ne parlerei come di un periodo di sopravvivenza casuale e inaspettata a me stessa e ai miei impulsi di auto-annullamento.
Ultimamente penso piuttosto alla vita, a quello che faccio, al segno che lascio (o, meglio, a quello che non lascio). Come se dovessi fare qualcosa che non sto facendo. Qualcosa che ho dimenticato, e che non so, e quindi vago, vago senza meta e senza scopo, e sto in un angolo, nella mia vita, senza nemmeno fare la fatica di far bella figura.
Penso sempre all’assenza come motore di tutto, di tutta me, intendo.
C’è sempre qualcosa che mi manca, qualcuno.

Spesso penso a cosa accomuna tutti i miei artisti preferiti. Il fatto che siano morti o irraggiungibili è il denominatore comune. Assenza di una comunità , assenza di uno scopo condiviso, assenza di un progetto artistico, assenza di coraggio, assenza di intraprendeza, ecco cosa sono.
Un’accozzaglia di assenze senza capo né coda.
La cosa veramente angosciante è che temo che non sono d’accordo con Clarissa Dalloway, non credo che la morte sia questo abbraccio accogliente dove ritrovare pienezza e accoglienza. Temo piuttosto che tutto ricominci da capo, finché non si imbocca la strada giusta, finché non si smette di andare a feste a cui si è invitati all’ultimo momento e non si sa come comportarsi.
Poche cose mi fanno paura, ed essere come Ellie Henderson è quella che mi terrorizza di più: fantasma di me stessa ancora in vita, comparsa nel film della mia esistenza.
Però sono così, non c’è niente da fare. Resto ai margini, guardo silenziosa e da sola, mi intrufolo dove posso, la gente mi fraintende,
mi scambia per quello che non sono, ma prima o poi tutto questo disagio torna a galla, prima o poi la mia vera natura spinge ed esce allo scoperto.
Assenza di originalità , assenza di propositività , anticonformismo a tutti i costi, anche quando non vorrei, anche quando vorrei essere allineata con le logiche dittatoriali e massificate che tando disprezzo.
E poi paranoia, insicurezza, alienazione, misantropia.
Come può un essere del genere essere consapevole di sé? E’ già  tanto se mi ricordo di svegliarmi, la mattina, se riesco a trascinarmi per le cose che devo fare, con un entusiasmo che è perfino sincero, quasi incosciente.
Poi però mi ritrovo a una festa che pensavo fosse la mia e invece sono un’ospite imbucata, a disagio, muta, inutile.

Stranamente oggi tutto questo non mi opprime. Mi sembra un dono, qualcosa di cui andare fiera.
Domani non sarà  così, lo so fin da ora, e mi maledirò e vorrò scomparire ancora.
E allora prenderò un altro libro e me ne andrò un po’ altrove, ancora, perché se qui non mi piace, esistono tanti mondi possibili che adoro, in cui sono sempre spettatrice ma in cui, a differenza di questo, riesco a sognare, anche senza dormire.

Necrologio anticipato del libro

“La letteratura non ha niente da dire a quegli esseri umani che sono soddisfatti del proprio destino, che sono contenti della vita che stanno conducendo. La letteratura è il nutrimento dello spirito ribelle, la promulgatrice dell’anticonformismo, un rifugio per quanti abbiano troppo o troppo poco nella vita. Chiediamo asilo alla letteratura per non essere infelici e per non essere incompleti. Cavalcare per i campi della Mancha accanto al macilento Ronzinante e al suo confuso cavaliere, solcare i mari in groppa a una balena con il capitano Ahab, bere arsenico insieme ad Emma Bovary, diventare insetto insieme a Gregor Samsa: sono tutti espedienti che abbiamo inventato per liberarci dai torti e dalle imposizioni che questa vita ingiusta ci riserva, una vita che ci costringe ad essere sempre la stessa persona quando noi vorremmo essere tante persone diverse, per soddisfare i tanti desideri da cui siamo soggiogati.
La letteratura allevia soltanto momentaneamente questa vitale insoddisfazione – ma in questo istante miracoloso, in questa provvisoria sospensione della vita, l’illusione letteraria ci solleva e ci trasporta al di là  della storia, ed ecco che diventiamo gli abitanti di una terra senza tempo, e per questo immortali. Diventiamo più sensibili, ci arricchiamo, ci sentiamo più complessi, più felici, e più lucidi di quello che siamo nel tran tran forzato della vita quotidiana. Quando chiudiamo il libro e abbandoniamo la finzione letteraria, facciamo ritorno all’esistenza vera e la paragoniamo alla terra meravigliosa che ci siamo appena lasciati alle spalle. Che delusione ci attende! Ma anche la terribile consapevolezza di quanto la vita fantasticata del romanzo sia migliore – più bella e varia, più comprensibile e perfetta – della vita che viviamo da svegli, una vita condizionata dai limiti e dalla noia della nostra condizione. Ecco come la buona letteratura, la letteratura vera, riesce ad essere sempre sovversiva, indomabile, ribelle: una sfida all’esistente.”

(Mario Vargas Llosa, Necrologio anticipato del libro)

L'arte della Guerra

Arte della guerra
Stasera ho comprato L’arte della guerra, di Sun Zu.
Non mi piace la guerra.
Ma c’è un ma.
Indubbiamente è un lato del nostro sentire, del nostro essere umani. Quindi va compresa. E magari affrontata senza un’ascia, un macete o un fucile a canne mozze in mano, ma con una prospettiva più filosofica.
Così spero di incanalare in fini comportamenti strategici tutti quegli impulsi da guerrafondaia che mi assalgono ogni giorno quando ho a che fare con gente che non mi va.

Una frase sola, molto adatta a me e alla mia sciocca impulsività , a volte.

“In linea di massima, a proposito della battaglia, l’attacco diretto mira al coinvolgimento; quello di sorpresa alla vittoria”.

Mappa letteraria di New York

Una delle cose che mi piace di più, quando visito una citta è andare dove sono andati i protagonisti dei miei libri, camminare negli stessi luoghi, osservare con i miei occhi le stesse cose che lo scrittore mi ha fatto vedere nella mente. E’ come un sogno che si realizza. Si vive una realtà  alternativa, si sperimentano storie ed emozioni di persone inesistenti, e poi ci si accorge che quei luoghi, che quelle cornici sono reali, esistono davvero, e allora tutto viene rievocato, tutto sembra più chiaro, più reale, più “addosso”.
La prima volta a New York mi sono commossa al laghetto di Central Park e ho pianto dall’emozione davanti agli eschimesi del Museum of Natural History, ripensando al giovane Holden e a quanto ho amato quel libro. Per un momento non sono più stata me stessa, ma sono stata Holden Caulfield, ho “sentito” come lui, mi sono impossessata dei suoi ricordi, della sua infanzia, e il suo disagio è stato il mio. Quando tornerò a New York, mi farò una full immersion in luoghi dei romanzi di Paul Auster e rivivrò il conflitto con il padre e il dolore di perdere se stessi e ritrovarsi (oppure no).
Il fatto è che non è una città  qualunque. E’ speciale. Convoglia ricordi e crea strie dal nulla.
Intanto, però, per attutire un po’ la malinconia, mi perderò “in altri libri”, con questa Mappa Letteraria di Manhattan

Fiera del Libro '05

Oggi Fiera del Libro a Torino, con Ali!
Abbiamo camminato ininterrottamente, cariche di cataloghi, soffermandoci a ogni stand, annusando estasiate la carta dei libri, ammirando tutto quel sapere e quelle parole che non riusciremo a leggere in tutta la vita.
Ho sparso curriculum in giro dovunque. Nessuno mi chiamerà , ma ho imparato a interagire con le persone.

Scena memorabile di oggi/1:
[cerco di attirare l’attenzione di un addetto allo stand davanti a me, girato di tre quarti, a mezzo metro di distanza]
“Scusi… Scusi… Ehm… Ehm… MI SCUSI… Senta… Ecco… Dunque…”
Niente. A un certo punto è arrivato un altro. Ma quello non si è accorto di nulla. Olè.

Scena memorabile di oggi/2:
Io: “Sì, salve, volevo sapere se voi della Laterza vi avvalete di collaborazioni per le traduzioni.”
Lei: “Guardi, veramente noi saremmo lo stand del Mulino…”

Sono fuggita.

E comunque, il prossimo che dice che Torino è una città  grigia “lo sparo”…