Far East Film 12 – The Message

Un ottimo film di spionaggio cinese ambientato negli anni ’40. Agenti segreti in incognito, infiltrati rivoluzionari, complotti da ordire e da sventare: ingredienti indispensabili di questo più che piacevole intrigo nazionale in cui il “messaggio” del titolo viene anteposto alla vita stessa degli attori in gioco.

L’ambientazione alla Agatha Christie, in un castello isolato e irraggiungibile, non deve ingannare, perché non si tratta di una semplice riedizione di Dieci piccoli indiani o di un Invito a cena con delitto: da un clima di curiosa suspense si passa rapidamente a claustrofobiche torture, colpi di scena, comportamenti illeggibili e difficilmente interpretabili secondo canoni prevedibili. Ottimi attori, buona storia, personaggi molti “cinesi” – dediti, impassibili, sacrificali – e ha per così dire tracciato la “cifra” del festival, quest’anno: film magari non coinvolgenti o emozionanti in modo sconvolgente, come lo scorso anno, ma sicuramente curati, approfonditi, maturi.

3 su 5 e un plauso allo spiegone finale (che di solito non apprezzo) perché ha veramente tirato le fila della situazione

Far East Film 12 – The Actresses

Un giorno, il regista E. J-Yong si sveglia e decide che  probabilmente l’offerta di Vogue di dare un film su un gruppo di attrici che devono posare tutte insieme per un servizio fotografico (prima volta che avviene una cosa del genere, in Corea del Sud) potrebbe essere una storia emozionante. Per descrivere le “sfaccettature di una (o più) star”. Per parlare della sensibilità  femminile. Per mostrare le nevrosi di donne tanto sofisticate ma in fondo tanto semplici.

Il risultato? Due palle così. Il film è girato con maestria, le attrici si comportano egregiamente, nella finzione di interpretare se stesse in modo marcato e appariscente, la fotografia è curata, gli abiti ancora di più (non dimentichiamo che è un doppio “spot”, per le attrici e per Vogue) ma il clima che si crea nel film è stantio, forzato,  i dialoghi definiti “brillanti” sono in realtà  confuse apologie di un femminismo deprimente in cui le donne sono esseri che pensano solo alla linea, ai divorzi, alla vecchiaia.

Tutta questa fiera delle vanità , coronata da un paio di servizi fotografici alle attrici, è in realtà  solamente  uno spreco di energie. Forse il senso dell’incontro di queste figure femminili apparentemente distanti ma in realtà  profondamente affini è proprio che lo spirito delle donne è uno, non importa quale sia l’età , la provenienza sociale, i “ruoli” che la vita ti ha portato a interpretare, sia sul palco che nella vita privata. Il risultato però è noioso, fa scattare istinti misogini e relega, per l’ennesima volta, la donna al suo “cortile” di casa, e cioè alle frustrazioni imposte dalla società , alle frustrazioni che sono “giuste” per noi, che sono adeguate, quelle che tutti si aspettano.

Banale, ecco come lo definirei. Non avete capito bene di cosa parlo? Beh, immaginatevi un monologo nevrotico e inconcludente di attrici come Laura Morante, Margherita Buy, Martina Stella, Claudia Pandolfi e altre due donne attrici italiane. Allungatelo per due ore. Ecco, forse ora avete capito di cosa parlo.

2 su 5

Far East Film 12 – Zero Focus

Zero Focus

Film giapponese del 2009, regia di Inudo Isshin, questo film è un’ambiziosa scimmiottatura di un giallo hitchockiano: donne sull’orlo di una crisi di nervi, mariti scomparsi, paesaggi ovattati e verità  scomode da tenere a bada.
Ottima l’atmosfera: luci, fotografia, paesaggi ricostruiscono bene un senso di oppressione dovuta a un mistero da scoprire. Il ritratto della provincia giapponese innevata di Kanazawa, della vita e delle abitazioni anni ’50, la reazione di una nazione fiera e operosa come il Giappone nei primi anni del dopoguerra, tutto è tratteggiato con precisione discreta a mai abusata.
Passabile la storia: intrecci di vite e menzogne che vengono portate a galla da una giovane donna che ha perso il marito (lo ha letteralmente perso, nel senso che non riesce più a trovarlo).
Fragili e deboli i personaggi: le tre donne protagoniste sono spesso spinte da motivazioni al limite del verosimile, compiono scelte forzate e anche i personaggi maschili che gravitano intorno a loro sembrano, nella parte finale, risentire di questa illogicità  spinta, che non trova nessuna giustificazione nel colpo di scena finale (per me ben prevedibile fin dall’inizio del film).

Quello che mi ha fatto apprezzare il film è stato invece il modo in cui ha ricostruito le sorti delle donne nel dopoguerra e l’avvio della fase di emancipazione (con ingresso in politica, alfabetizzazione, indigenza dal mondo prettamente maschile): diversamente da quanto avviene di solito, lo sfondo sociale è piacevole, comprensibile, ben equilibrato e dosato, senza i frastornanti proclami delle suffragette femministe a cui tanti film (italiani e americani) ci hanno abituato.
La debolezza della caratterizzazione psicologica delle tre protagoniste viene compensata dal loro diventare degli “universali discreti” di un periodo storico ben delimitato. Le loro azioni e la loro “fine” sono tutte una sorta di metafora per i ruoli che si stavano aprendo (o chiudendo) davanti alla società  femminile dell’epoca.
Cercare di emulare Hitchock non è un’impresa da poco e sicuramente il Zero Focus non si avvicina allo spessore del grande maestro, ma si salva abilmente dipingendo la società  con colori e immagini decisamente incisivi.
3 su 5

Far East Film Festival 12 (2010)

E finalmente ci siamo. Senza imprevisti, con la classica calma serafica che accompagna ogni anno questo evento, siamo arrivati nel solito magnifico Friuli pronti a un’immersione totale in film orientali di ogni genere.
Ottima accoglienza senza intoppi, una bellissima borsa nuova da sfoggiare, un catalogo possibilmente anche più ricco dell’anno scorso e tanti posti convenzionati dove mangiare tra un film e l’altro, discutere, bere un buon vino e trascorrere del sano tempo di qualità  in ottima compagnia.
Ed è solo il primo giorno!
Quest’anno affiancherò alle recensioni dei film che vedremo anche dei commenti ai posti dove mangeremo, perché il cibo per il corpo e il cibo per la mente devono andare ottimamente a braccetto.
Consiglio a tutti i friulani e a chi si trovasse a distanza accessibile di fare un salto al Far East: l’atmosfera è sempre ottima, la gente è giovane e sensata (e non deprimente e inutilmente modaiola come al deprecabile Fuori Salone, dove l’unica priorità  sembra vomitare in giro e pisciare per strada per essere molto cool) e la selezione di film è sempre soddisfacente.
Oltre al sito ufficiale, c’è anche l’aggiornatissimo blog, per qualche commento a caldo!
Come recita lo slogan di quest’anno: Far East Film Festival LOVE U!

Shutter Island e MoS

Shutter Island mi è piaciuto. Purtroppo, ultimamente la mia vita sembra essere “funestata” da intuizioni tanto geniali quanto fastidiose che riguardano i finali delle cose che sto leggendo o facendo o vedendo o giocando. Di questo film mi è piaciuta l’ambientazione (un manicomio, su un’isola), i personaggi (vari quanto più si può sperare), il finale (anche se l’ho intuito credo al minuto 4, quando il protagonista dice “Non trovo le mie sigarette”) e la compagnia con cui l’ho visto (Gian sei la miglior MILF del mondo).

Quello che non mi è piaciuto è il doppiatore di Leonardo di Caprio, cane quasi quanto solo quello di John Cusack, la tipa cerebrolesa nella fila dietro che continuava a far battute insignificanti, infastidendo peraltro anche il ragazzo con cui stava, che sperava forse di ottenere qualcosa a fine serata e che dopo il film ha deciso che una sega era meglio e poi basta, direi.

Siamo andati a vedere questo film perché beh, era Scorsese, ma anche perché la trama letta qua e là  ci faceva temere in un “plagio” involontario di una nostra idea per il progetto su cui Hive comincerà  a lavorare ad Aprile. Per fortuna era solo un altro bel film e non il NOSTRO film (anche perché se no, sai che sfiga?). Quello che mi piace è l’intramontabile fascino della psicologia, della mente umana, il fatto che Freud e Jung non sono affatto morti e che anzi, sebbene sicuramente clinicamente superate, le loro teorizzazioni sono ormai entrate nell’immaginario collettivo e, esattamente come accade per la fisiognomica, scienza ormai declassata a follia, ci forniscono infiniti spunti per raccontare storie, per giocare con gli stereotipi (o, forse meglio, con gli archetipi) e per continuare a inorridire e a terrorizzarci davanti agli abusi fisici e psicologici a cui possiamo sottoporre la mente umana. Inquietantemente adorabile, direi.

Quindi sì, Shutter Island lo consiglio vivamente, ma consiglio vivamente anche di stare all’erta, perché qualcosa si sta ricominciando a muovere, qui, e presto la squadra tutta sarà  richiamata “alle armi da presa” per cominciare a lavorare sul nuovo progetto, che in codice chiameremo solo MoS, per ora…
Questa volta il diario di produzione (e pre-produzione e post-produzione) sarà  decisamente ricco quindi… Se siete curiosi di scoprire su cosa lavora Hive, curiosate e teneteci d’occhio!